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Golpe contro Meloni, la narrazione rigira la frittata: pretendono di raccontarci che sia stata la Premier a tendere un agguato a Mattarella



Le modalità con cui la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha gestito l’incontro al Quirinale delineano il percorso futuro.  L’incontro si è distinto per l’assenza di un’umiliazione pubblica, a differenza di un’ipotetica “andata a Canossa”.



Secondo la convenzione istituzionale, sarebbero state sufficienti quattro parole: “Caso chiuso, piena fiducia”.  Invece, accolta con l’intento di concludere la questione, la Presidente ha adottato una strategia duplice: da un lato ha tentato di attenuare le tensioni, dall’altro le ha alimentate, trasformando l’incontro in un ulteriore capitolo di una narrazione in corso.

Questa modalità comunicativa si proietta principalmente verso l’esterno, lungo l’asse tra il governo e la cittadinanza, dove l’istituzione viene percepita come un ostacolo.  Al Palazzo si pronuncia una frase conciliante, mentre alla piazza si fornisce il titolo.  Si finge di negare l’intenzione di uno scontro, ma il messaggio sottostante è: osservate come abbiamo gestito la situazione.  Per l’opinione pubblica, rimane l’impressione che si sia screditato il Quirinale, sede delle presunte trame contro la volontà popolare.

Ed è questo l’aspetto cruciale.

Attribuire l’intera vicenda esclusivamente alle elezioni regionali, il cui esito è prevedibile, risulta fuorviante.  Alla base, vi è un fattore intrinseco.  Si tratta della natura dell’underdog, che tende a percepire complotti poiché cresciuta nel mito del “noi pochi contro il mondo”, e che pertanto difende costantemente il legame di appartenenza.  Un approccio realistico avrebbe suggerito, indipendentemente da torti e ragioni, di evitare un confronto con chi, peraltro, si è dimostrato tutt’altro che ostile al governo, dalla Flotilla all’Ucraina.

Tuttavia, il realismo è una caratteristica del governo, mentre in questo caso si tratta di un altro fattore.

In prospettiva, si profila la vera sfida in cui la Presidente Meloni è già pienamente coinvolta.

La sua ambiziosa ascesa al potere, percepita come una storica rivincita per un’intera nazione, si configura come un referendum sulla giustizia.  L’elogio di Nordio a Licio Gelli rappresenta un chiaro indicatore dello spirito che anima questa battaglia politica.  Le elezioni politiche, il Quirinale, la roccaforte che il centrodestra non è mai riuscito a conquistare, rappresentano tappe fondamentali di questo percorso.  Un successo in queste sfide le consentirebbe di affermare, all’età di 52 anni, di aver scritto la Storia.  Si tratta di un progetto volto a ridefinire i rapporti di potere in Italia, i cui segnali premonitori si manifestano nel modo in cui i media vicini al governo descrivono quotidianamente Mattarella: un mero cerimoniere, mentre la narrazione “presidenziale” è interamente incentrata su Palazzo Chigi.

La posta in gioco è strettamente legata alla strategia trumpiana di gestione del potere: la mobilitazione al posto dell’azione governativa e la costruzione di una narrazione al posto della realtà, con l’obiettivo di screditare qualsiasi fonte ufficiale.  Interrogando esponenti del governo, emerge chiaramente che, per i prossimi mesi, manca una vera e propria agenda di lavoro, in un clima di assuefazione al mantenimento dello status quo.  Al posto di un piano casa concreto, si propone un condono; al posto di una strategia di crescita sostenibile, si enfatizza l’autocelebrazione dei conti in ordine; al posto di una politica industriale lungimirante, si assiste alla chiusura dell’Ilva; al posto di un’efficace azione di contrasto alla criminalità, si registra un aumento dei reati.

Il programma di governo per i prossimi mesi si limita a tre punti: referendum sulla giustizia, introduzione del premierato e riforma della legge elettorale.

Giorgia Meloni è consapevole che, in una situazione inversa, avrebbe scatenato un’ondata di critiche dopo l’episodio del ragazzo della Bocconi accoltellato a corso Como per 50 euro.  Inoltre, avrebbe incontrato difficoltà a giustificare un Natale in cui le tredicesime vengono utilizzate per pagare le bollette, dopo un’estate caratterizzata da prezzi esorbitanti per gli ombrelloni.

Questo tema la preoccupa profondamente.  L’unica strategia per sostenere un anno e mezzo di questo tipo è quella di seguire la logica della natura: sostituire la valutazione del proprio operato, in materia di tasse e sicurezza, con la mobilitazione “contro”, trasformando il “l’abbiamo fatto” in un “non ci hanno lasciato fare”.  Questo approccio risuona profondamente con le corde emotive del centrodestra.

Il fulcro della questione non risiede nel diversivo comunicativo, inteso come deviazione dal tema principale. L’agenda del plebiscito possiede una dimensione comunicativa in quanto di natura politica, auto-alimentando la narrazione attraverso una sequenza di fasi. La riforma della giustizia prepara il terreno per l’introduzione del premierato, che, secondo le previsioni, dovrebbe concludere la prima lettura a maggio, per poi essere sottoposto alla seconda lettura a settembre.

Il premierato, a sua volta, prepara il terreno per la modifica della legge elettorale, che anticipa le elezioni politiche, le quali, infine, preparano il complesso processo di selezione del Presidente della Repubblica.  A differenza del precedente mandato, in cui l’obiettivo principale era sconfiggere la sinistra, l’attuale contesto richiede un’azione di portata storica.

Pertanto, risulta irrilevante la nostra posizione di governo, in quanto continuiamo a rappresentare l’opposizione al Sistema che aspira a modificarlo.  Questo spiega il trattamento riservato al Presidente Mattarella, che ha rappresentato un’anticipazione delle dinamiche future.



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