In apertura del 2022 Novak Djokovic era finito sotto i riflettori per non aver ricevuto il vaccino contro il Covid-19, circostanza che gli ha impedito di partecipare allo Australian Open nonostante fosse il campione in carica. Pur avendo ottenuto un’esenzione medica, le autorità australiane non l’hanno accolta al momento dell’ingresso nel Paese.
Djokovic ha più volte chiarito di non definirsi “no-vax”, sottolineando tuttavia l’importanza della libertà di scelta personale nel contesto della vaccinazione.
Nel frattempo Piers Morgan, che aveva criticato duramente Djokovic per la sua posizione, ha ammesso in un video-intervista di aver giudicato erroneamente la situazione. Morgan sostiene che «divenuto chiaro che fosse indifferente, ai fini del contagio, essere vaccinati o meno, la questione sia diventata una scelta personale». L’ammissione di questo errore — a distanza di tre-quattro anni dai fatti — è vista da alcuni come un momento di revisione della narrazione mediatica attorno alla pandemia.
In Italia la vicenda ha trovato ulteriore eco attraverso il commento di Enrico Ruggeri, che su social ha affermato:
“In Italia ho nessuno avuto questa onestà intellettuale. Nessuno si è mai scusato.”
La frase è stata interpretata come una critica ai toni assunti durante la campagna vaccinale e alle misure restrittive — in particolare al sistema del Green Pass — percepite da taluni come imposte più che condivise. Ruggeri, pur non dichiarandosi apertamente contrario ai vaccini, si è fatto portavoce di una riflessione più ampia sulla gestione dell’emergenza: l’assenza di un mea culpa collettivo e la mancanza di autocritica sarebbero, secondo lui, segnali di una cultura nazionale poco incline al riconoscimento degli errori.
Questa riapertura del dibattito non riguarda soltanto l’aspetto sanitario-epidemiologico, ma anche il piano culturale e sociale: la pandemia aveva determinato una forte polarizzazione tra «vaccinati» e «non vaccinati», caricata da retoriche ideologiche. L’ammissione di Morgan e la provocazione di Ruggeri sembrano suggerire che, almeno nella narrazione pubblica, quel confine stia cominciando a essere messo in discussione.
Sul versante politico e istituzionale, la vicenda richiama l’esigenza di trasparenza e di responsabilità nel comunicare decisioni che riguardano la salute collettiva. In Italia, dove le restrizioni e gli obblighi hanno avuto un forte impatto sociale, il richiamo all’autocritica assume un valore simbolico: un invito a riflettere su come siano state gestite le libertà individuali, l’informazione, la fiducia nelle istituzioni.
Restano però questioni aperte: quanto è cambiata nei fatti, adesso, la percezione pubblica del vaccino? In che modo saranno valutate le decisioni assunte in fretta durante l’emergenza, e quale spazio sarà dato alle scelte individuali nei futuri scenari di salute pubblica? E ancora: lo «scusarsi» non dovrebbe essere parte integrante di una gestione trasparente della crisi?
Mentre la memoria dell’emergenza va assestandosi, il richiamo di Ruggeri e l’ammissione di Morgan costituiscono un momento di riflessione collettiva. Il dibattito sui vaccini, dunque, non è soltanto un capitolo chiuso: è un invito a guardare oltre la polemica e a interrogarsi su come, come comunità, affrontiamo le emergenze sanitarie e le decisioni che ne derivano.



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