​​


La mossa segreta di Putin contro l’ultima sanzione: chi osa applicarla rischia perdite miliardarie



La mancanza di reazione immediata da parte di Mosca dopo la firma del cancelliere tedesco Friedrich Merz sulla proposta europea di impiegare le riserve russe congelate, inizialmente per un valore di 170 miliardi di euro, non deve trarre in inganno. Domani infatti si terrà una videoconferenza tra i ministri delle Finanze del G7 proprio per discutere su questo intervento economico a sostegno dell’Ucraina, con la cifra potenzialmente destinata a superare i 200 miliardi di euro.



Dietro il silenzio apparente, tuttavia, il Cremlino sta preparandosi a rispondere duramente. È in fase di elaborazione una bozza di decreto presidenziale che prevede la nazionalizzazione dei patrimoni delle aziende appartenenti a Paesi considerati “non amichevoli”.
Questo decreto rappresenterebbe una scala di requisizioni senza precedenti, in continuità con quanto avvenuto dal 2022, anno in cui sono state già confiscate 103 proprietà per motivi politici.

Il provvedimento potrebbe scattare nel caso in cui si decida definitivamente di impiegare le riserve congelate russe a favore dell’Ucraina, con effetti attesi tra marzo e aprile 2026. Gli ambienti economici legati al Cremlino stimano in circa 150 miliardi di dollari il valore dei beni fisici appartenenti alle imprese occidentali ancora operative in Russia, a cui si sommano altrettanti 150 miliardi di dollari detenuti in conti bancari. Per quanto riguarda l’Italia, i depositi congelati nelle banche russe ammonterebbero a oltre mezzo miliardo di euro.

Dall’inizio del conflitto, circa 17.000 aziende provenienti da Europa, Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia e Corea del Sud hanno abbandonato il mercato russo, ma molte altre sono rimaste attive. Secondo i dati dell’agenzia fiscale di Mosca diffusi da Interfax Spark, i primi otto gruppi di Paesi “non amichevoli” hanno totalizzato un fatturato di circa 20 miliardi di euro nel 2024.

Tra questi spiccano grandi aziende come il colosso del tabacco statunitense Philip Morris, che ha realizzato 4,5 miliardi di euro, Pepsi con 2,5 miliardi, e il gruppo farmaceutico anglo-svedese AstraZeneca, che ha triplicato il fatturato a un miliardo durante il periodo di guerra. Le imprese italiane mostrano una crescita simile, seppure su scala più contenuta, con circa cinquanta aziende rilevate che hanno incrementato il loro fatturato del 37%, raggiungendo un valore complessivo di 2 miliardi di euro.

Pur non violando alcuna sanzione, queste imprese rischiano ora di subire la confisca dei loro beni da parte del governo russo. I conti bloccati da anni potrebbero infatti diventare definitivamente inaccessibili se Mosca procederà con l’esproprio allo scopo di contrapporsi all’eventuale utilizzo europeo dei fondi congelati a favore di Kiev.

Secondo gli analisti, quindi, rinunciare all’impiego delle riserve congelate significherebbe un grave errore strategico. Anche in quel caso, infatti, i patrimoni delle società occidentali resterebbero congelati fino a quando i governi europei non adotterebbero posizioni favorevoli agli obiettivi politici russi, con un costo potenzialmente superiore ai guadagni accumulati in Russia negli ultimi anni.



Add comment