Come da tradizione, il corpo di un pontefice viene esposto ai fedeli per la venerazione prima della sepoltura. Per garantire che la salma si mantenga in condizioni decorose, è necessario applicare tecniche di conservazione temporanea che rallentino i naturali processi di decomposizione. Anche il corpo di Papa Francesco, deceduto alle 07:35 di lunedì 21 aprile 2025 a causa di un ictus cerebrale seguito da coma e collasso cardiocircolatorio, è stato sottoposto a un trattamento di tanatoprassi. Questa procedura, già utilizzata in passato per personalità come Papa Benedetto XVI e il calciatore Pelè, permette la preservazione del corpo per diversi giorni.
Il trattamento è stato eseguito nelle ore immediatamente successive al decesso, avvenuto presso Casa Santa Marta, residenza di Papa Francesco durante tutto il suo pontificato. Alle 20:00 dello stesso giorno è stato celebrato il Rito della Constatazione della morte, seguito dalla deposizione della salma in una bara di legno, con la redazione dell’atto ufficiale di morte a cura del professor Andrea Arcangeli, Direttore di Sanità e Igiene dello Stato della Città del Vaticano. L’esposizione pubblica del corpo nella Basilica di San Pietro è prevista a partire da mercoledì 23 aprile, mentre i funerali si terranno tra venerdì 25 e domenica 27 aprile.
La tanatoprassi, termine che deriva dal greco “thanatos” (morte) e “praxis” (pratica), è una tecnica introdotta in Italia nel 1995 da Andrea Fantozzi, fondatore dell’Istituto Nazionale Italiano di Tanatoprassi (INIT). Si tratta di un trattamento post-mortem che ha l’obiettivo di mantenere l’integrità del corpo del defunto per un periodo di tempo limitato, garantendo al contempo un elevato standard igienico. Come spiegato dall’INIT, “il corpo, nelle ore successive alla morte, subisce una veloce trasformazione, vi è la fuoriuscita di liquidi organici e la presenza di vapori nauseanti, che rendono la veglia funebre più traumatica e potenzialmente pericolosa”. Questo processo consente quindi di preservare l’aspetto del defunto, eliminando cattivi odori e impedendo fenomeni legati alla decomposizione.
La procedura si basa sull’iniezione di un fluido conservante nel sistema arterioso, unita a trattamenti estetici che aiutano a mantenere un’immagine integra del defunto. I fluidi utilizzati sono spesso a base di formalina, come la formaldeide, ma negli ultimi anni sono stati introdotti prodotti alternativi come il Fluytan, sviluppato dall’INIT. Questo composto innovativo si distingue per la sua efficacia e per l’assenza di tossicità, come spiegato da Andrea Fantozzi in un’intervista: “È un prodotto che viene usato per la conservazione delle salme ma anche nell’istopatologia, nell’istochimica, nel settore biomedico, in medicina legale, nella tassidermia. Su una salma con odori abominevoli basta nebulizzare il prodotto sul corpo e istantaneamente scompaiono”. Il Fluytan può essere applicato anche in modo topico, garantendo la conservazione della salma per 2-4 giorni senza necessità di iniezioni.
Oltre a rallentare la decomposizione, la tanatoprassi include trattamenti estetici per migliorare l’aspetto del defunto. Vengono utilizzati prodotti come cere e creme idratanti, arricchiti con coloranti, per mantenere la pelle morbida e luminosa. Questi interventi sono fondamentali per garantire che il corpo del defunto mantenga un aspetto dignitoso durante l’esposizione pubblica.
Dal punto di vista scientifico, la tanatoprassi agisce bloccando i processi di autolisi e putrefazione. L’autolisi, causata dal rilascio di enzimi digestivi, porta alla disintegrazione delle cellule, mentre la putrefazione è il risultato dell’azione batterica sui tessuti, che produce gas e odori sgradevoli. In condizioni normali, la decomposizione completa di un corpo all’interno di una bara può richiedere fino a dieci anni, ma fattori come temperatura, umidità e ossigeno possono influenzare notevolmente questo processo.
Oltre agli aspetti legati alla conservazione temporanea, la tanatoprassi offre anche vantaggi dal punto di vista igienico, rendendo le pratiche funerarie più sicure sia per i familiari che per gli operatori del settore. Un corpo trattato con questa tecnica, infatti, garantisce un ritorno naturale in polvere entro un massimo di dieci anni, evitando fenomeni di mummificazione o formazione di adipocera che possono prolungare il processo di decomposizione.
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