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L’attivista della capsula Sarco si lancia nel vuoto: il mistero dietro il gesto estremo



L’attivista svizzero Florian Willet, coinvolto in un’indagine per omicidio volontario legata all’uso della capsula Sarco, si è suicidato lanciandosi dal suo appartamento a Zurigo. La notizia è stata resa nota da Philip Nitschke, inventore della controversa capsula per il suicidio assistito. Questo dispositivo, che utilizza gas azoto, era stato usato per la prima volta in Svizzera nel settembre dell’anno precedente, in un caso che aveva destato grande clamore.



L’episodio che aveva portato all’accusa di Willet risale alla morte di una donna di 64 anni, avvenuta in una baita nelle vicinanze di Merishausen. La donna era stata trovata priva di vita all’interno della capsula Sarco, con segni di strangolamento sul collo. L’allarme era stato dato dallo stesso gruppo The Last Resort, di cui Willet era co-presidente. Le autorità elvetiche avevano sequestrato il dispositivo e avviato un’indagine, iscrivendo nel registro degli indagati tutte le persone presenti sul luogo al momento del decesso, incluso il dottor Florian Willet.

Secondo il pubblico ministero, vi era un “forte sospetto” che la capsula non avesse funzionato correttamente e che l’attivista avesse avuto un ruolo diretto nella morte della donna. Per questo motivo, Willet, allora 47enne, era stato arrestato e sottoposto a 70 giorni di detenzione preventiva. Nonostante la successiva scarcerazione avvenuta tre mesi più tardi, l’esperienza del carcere aveva avuto un impatto devastante sulla sua salute mentale.

Philip Nitschke, parlando delle condizioni di Willet dopo il rilascio, ha dichiarato: “Quando Florian è stato rilasciato improvvisamente e inaspettatamente dalla custodia cautelare all’inizio di dicembre 2024, era un uomo cambiato. Il suo sorriso caloroso e la sua sicurezza erano spariti. Al loro posto c’era un uomo che sembrava profondamente traumatizzato dall’esperienza della prigionia e dall’ingiusta accusa di strangolamento”.

Dopo il rilascio, Willet era stato ricoverato due volte in ospedale psichiatrico a causa delle gravi conseguenze psicologiche derivanti dalla detenzione. Secondo quanto riferito da Nitschke, l’attivista soffriva di “un disturbo psicotico polimorfico acuto causato dallo stress della detenzione preventiva e dei processi associati”. Nonostante i tentativi di cura, le difficoltà mentali si sono aggravate fino al tragico epilogo.

Il suicidio è avvenuto all’inizio di quest’anno quando Willet, con l’assistenza di un’organizzazione specializzata, si è lanciato dal terzo piano del suo appartamento a Zurigo, riportando ferite mortali. Il decesso è stato confermato il mese scorso. Con la sua morte, il procedimento penale nei suoi confronti è stato interrotto, come spiegato dal primo procuratore del Canton Sciaffusa. Tuttavia, le indagini sulle altre persone coinvolte nel caso restano ancora aperte.

La capsula Sarco, progettata da Philip Nitschke, aveva attirato molta attenzione mediatica per la sua innovatività e per le implicazioni etiche legate al suicidio assistito. Il dispositivo consente all’utente di attivare autonomamente il rilascio del gas azoto, portando alla perdita di coscienza e alla morte nel giro di pochi minuti. Tuttavia, il caso della donna deceduta vicino a Merishausen ha sollevato interrogativi sull’affidabilità del sistema e sulle responsabilità legali dei suoi utilizzatori.

Il tragico percorso di Florian Willet mette in luce le complesse questioni legate al suicidio assistito e alle conseguenze legali e psicologiche per chi vi è coinvolto. La vicenda continua a suscitare dibattiti sia in Svizzera che a livello internazionale, evidenziando la necessità di un confronto etico e legislativo su questi temi delicati.



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