In Italia, il diritto all’aborto esiste dal 1978, ma molte donne continuano a sentirsi giudicate quando decidono di interrompere una gravidanza. È il caso di Laura, una donna di 39 anni che ha recentemente vissuto un’esperienza traumatica in un consultorio della Campania. Nonostante avesse diritto all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) farmacologica, si è sentita trattata come un’assassina a causa delle domande e dei commenti del personale medico.
Laura ha raccontato a Fanpage.it di aver preso la decisione di interrompere la gravidanza con fermezza, consapevole della sua scelta. Per garantire maggiore privacy, si è rivolta a un consultorio lontano dal suo paese. Tuttavia, le sue aspettative sono state deluse. Una volta arrivata, ha aperto la sua cartella e si è trovata di fronte al medico, il quale ha subito posto una domanda personale: “Tu sei cattolica?”. Quando Laura ha risposto di no, il medico ha affermato di essere cattolico, suggerendo che questo avrebbe influenzato il suo giudizio sulla situazione della paziente.
Nonostante i tentativi di Laura di difendere il suo diritto a non essere giudicata, il medico ha insistito sul fatto che fosse importante considerare la vita del feto. “Qualcuno dovrà pur prendere le difese di questa persona che tu stai per uccidere. Lo sai che questa persona potrebbe diventare qualcuno un giorno. Cosa ne possiamo sapere?”, ha detto il medico, utilizzando un linguaggio che ha fatto sentire Laura sotto accusa. Il medico e l’assistente hanno continuato a riferirsi al feto come una “persona”, nonostante la terminologia scientifica corretta indichi “embrione” fino all’ottava settimana di gestazione.
Laura ha descritto la freddezza e l’arroganza del medico, che l’hanno lasciata senza parole. Nonostante fosse certa della sua decisione, il medico e l’assistente hanno fatto leva sui sensi di colpa che già la affliggevano. Alla fine, il medico ha informato Laura che avrebbe dovuto sottoporsi a una visita prima di ricevere il certificato per l’IVG, un passaggio necessario secondo la legge italiana.
Durante la visita, Laura ha vissuto un ulteriore momento di disagio. Il medico le ha ordinato di spogliarsi e di sedersi sulla sedia ginecologica, e nonostante la sua richiesta di non voler ascoltare l’eco, le è stato imposto di vedere l’immagine dell’embrione. “Mi ha costretta a vedere, mentre mi diceva le misure dell’embrione”, ha ricordato. Questo momento è stato devastante per lei, poiché si sentiva già in una situazione difficile e non desiderava ulteriori pressioni emotive.
Secondo la normativa italiana, la visita ginecologica è obbligatoria prima di un’IVG per accertare l’età gestazionale, ma le donne non sono obbligate a vedere l’embrione né ad ascoltarne il battito cardiaco. Le “Indicazioni operative per l’offerta IVG farmacologica” dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) del 2023 chiariscono che le informazioni devono essere fornite in modo comprensibile e rispettoso, evitando atteggiamenti stigmatizzanti.
Anche nel caso di un medico obiettore di coscienza, la legge stabilisce che non può rifiutarsi di assistere una paziente. Nonostante questo, Laura ha dovuto affrontare un trattamento che l’ha fatta sentire inadeguata e giudicata. Alla fine della visita, ha ricevuto il certificato necessario, ma il medico le ha detto che avrebbe dovuto aspettare sette giorni prima di recarsi in ospedale. “Se eri così sicura della tua scelta, non avresti dovuto avere problemi ad aspettare”, ha commentato, lasciando Laura frustrata e confusa.
Dopo l’esperienza negativa al consultorio, Laura si è sentita come un’assassina. “Mi hanno trattata come un’assassina e alla fine mi ci sono sentita davvero”, ha dichiarato. Tuttavia, quando ha riflettuto su ciò che era accaduto, ha provato una forte rabbia. Ha pensato che al suo posto avrebbe potuto esserci una madre in difficoltà o una giovane donna, e che un simile trattamento avrebbe potuto avere conseguenze devastanti.
Fortunatamente, quando si è recata all’ospedale per l’IVG, ha trovato un ambiente completamente diverso. “Alla fine ho trovato dei medici professionali e rispettosi della mia scelta. Mi hanno trattata come una paziente e non come un’assassina”, ha raccontato. Questa esperienza positiva le ha fatto riflettere su quanto sia variabile il trattamento che le donne ricevono in base al luogo in cui si rivolgono per l’IVG. Laura ha concluso affermando: “È davvero terra di nessuno. Ma è possibile che valiamo così poco?”.
La sua storia mette in luce le difficoltà che molte donne affrontano quando cercano assistenza per l’interruzione volontaria di gravidanza, evidenziando la necessità di un approccio più umano e rispettoso da parte del personale medico.
Scegli un altro modello per rispondere

Monica



Add comment