In segno di protesta contro quelle che definiscono “condizioni di lavoro inaccettabili”, le dipendenti di Max Mara, azienda simbolo del lusso e del made in Italy nel settore dell’abbigliamento, hanno incrociato le braccia. La mobilitazione, sostenuta dalla Filctem Cgil di Reggio Emilia, riguarda circa 220 lavoratrici e intende portare l’attenzione su una serie di problematiche che spaziano dall’organizzazione aziendale alla tutela della salute fisica e mentale.
Le dipendenti lamentano un clima lavorativo difficile, caratterizzato da pressioni individuali e un’organizzazione rigida che, secondo quanto riportato, inciderebbe negativamente sulla vita privata e sul benessere personale. Tra le ragioni dello sciopero figura anche la mancanza di progressioni di carriera e aumenti salariali adeguati, oltre alla scarsa disponibilità dell’azienda a dialogare con i rappresentanti sindacali.
Alcune lavoratrici hanno condiviso testimonianze dirette delle difficoltà vissute. “Ci hanno chiamato mucche da mungere – hanno raccontato a Il Fatto Quotidiano –. Ci hanno detto che siamo grasse, obese, ci hanno pure consigliato esercizi da fare a casa per dimagrire. Ci pagano praticamente a cottimo e controllano anche quante volte andiamo in bagno, ma siamo tutte donne e tutte abbiamo il ciclo. È disumano e vogliamo che questa cosa finisca”.
La Filctem Cgil, attraverso la voce della Segretaria Generale provinciale Erica Morelli, ha sottolineato come la situazione sia ormai insostenibile. “Qui siamo fermi agli anni ’80 – ha dichiarato –. Nonostante i nostri sforzi per costruire un confronto produttivo, la Direzione aziendale ha alzato un muro ed è indisponibile alle nostre richieste. Questo sciopero vuole dare un segnale forte alla Direzione per inaugurare una nuova fase di relazioni improntate prima di tutto sul rispetto per chi lavora”.
Il caso di Max Mara si inserisce in un contesto più ampio di criticità nel settore della moda, dove non mancano episodi di sfruttamento e condizioni lavorative discutibili. Recentemente, infatti, indagini condotte dal Nucleo ispettorato del lavoro dei carabinieri hanno portato alla luce situazioni preoccupanti in alcuni laboratori subappaltati nelle province di Milano e Bergamo. In questi casi, accessori di lusso venduti a prezzi elevatissimi – con cifre che vanno dai 1800 ai 3000 euro – risultavano prodotti in ambienti definiti “laboratori-dormitorio”, con costi di produzione stimati tra i 40 e i 90 euro.
La protesta delle lavoratrici di Reggio Emilia rappresenta dunque un ulteriore campanello d’allarme su come il settore della moda debba affrontare sfide significative non solo sul piano economico, ma anche etico. La richiesta principale delle dipendenti è chiara: maggiore rispetto per il lavoro svolto e condizioni più umane.
Il colosso Max Mara non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito allo sciopero e alle accuse mosse dalle dipendenti. Tuttavia, il clamore suscitato dalla vicenda potrebbe spingere l’azienda a rivedere le proprie politiche interne per rispondere alle richieste delle lavoratrici e dei sindacati.
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