Dopo un periodo di silenzio, Saverio Tommasi, giornalista di Fanpage.it e membro della Global Sumud Flotilla, ha deciso di raccontare la sua esperienza di detenzione in Israele. Il suo fermo è avvenuto dopo l’abbordaggio della nave Karma da parte della Marina israeliana, che ha portato alla sua detenzione in un centro nel sud del Paese. Attualmente, Tommasi si trova a Istanbul, insieme ad altri 25 connazionali, e prevede di rientrare in Italia nelle prossime ore.
Tommasi ricorda che, una volta a bordo della nave, i militari israeliani, almeno venti in numero, armati e con il volto coperto, hanno preso il controllo della situazione. “Ci hanno obbligati a seguire la direzione del porto di Ashdod”, spiega. I membri dell’equipaggio sono stati chiusi sottocoperta e privati dei loro cellulari e attrezzature.
La situazione è ulteriormente peggiorata al momento dell’arrivo al porto, come racconta Tommasi: “L’accoglienza è stata terrificante, una violazione completa dei diritti umani. Ci hanno costretti a stare piegati, con la testa bassa, in un piazzale circondato da container. Chi provava ad alzare lo sguardo veniva colpito sulla testa. Nessuno poteva andare in bagno”.
Il giornalista descrive un ambiente di violenza e umiliazione, evidenziando episodi di brutalità nei confronti di altri membri del gruppo. “Un uomo si è slogato un polso, un altro, un italiano di 72 anni con una gamba artificiale, è stato costretto a rimanere piegato per ore. Ci chiamavano con soprannomi offensivi e ridevano di noi. Se qualcuno toccava i propri oggetti, glieli strappavano e li lanciavano via”.
Un altro episodio che Tommasi denuncia riguarda il momento dell’identificazione: “Mi hanno strappato con forza le fedi dal dito. Solo dopo una scenata con il consolato le ho ritrovate nello zaino. Rubare l’oro alle persone è un gesto che richiama pagine oscure della storia. È inaccettabile”.
Durante la detenzione, il trattamento riservato ai prigionieri è stato descritto come quello di un regime non democratico. “Non ci hanno picchiati, ma ci trattavano come in un regime non democratico. C’erano cani lupo che abbaiavano vicino a noi, e gli agenti urlavano continuamente. Dormivamo per terra, in 15 per cella, o due per letto. Il cibo era scarso e l’acqua da bere aveva un sapore rancido”.
Tommasi racconta anche delle difficoltà nel comunicare con il proprio avvocato in Israele: “Non gli hanno permesso di entrare, ci hanno fatto parlare con un’altra legale, che poi abbiamo scoperto essere dell’organizzazione della Flotilla”. Questo ha sollevato ulteriori preoccupazioni sulla trasparenza e sul rispetto dei diritti dei detenuti.
Domani, Saverio Tommasi sarà a Roma, dove parteciperà al Rumore Festival, un evento in cui racconterà pubblicamente la sua esperienza. “Non è accettabile che in una democrazia vengano praticati questi metodi”, conclude con fermezza.
La storia di Tommasi si inserisce in un contesto più ampio di tensioni e conflitti legati alla situazione in Israele e nei territori palestinesi. La sua testimonianza mette in luce le difficoltà e le violazioni dei diritti umani che possono verificarsi anche nei contesti di detenzione.
Il suo racconto ha già suscitato un forte interesse e preoccupazione tra i media e i gruppi per i diritti umani, che stanno monitorando la situazione e chiedendo maggiore attenzione alla condizione dei detenuti. La denuncia di Tommasi è un richiamo alla necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali di ogni individuo, anche in situazioni di conflitto e crisi.
Con il suo ritorno in Italia, Saverio Tommasi intende continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi, portando alla luce le esperienze di chi si trova in situazioni simili. La sua testimonianza rappresenta un’importante voce nel dibattito sui diritti umani e sulla giustizia internazionale.



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