Alessio Tucci, un giovane di 19 anni, ha confessato di essere responsabile dell’omicidio della sua ex fidanzata, Martina Carbonaro, una ragazza di soli 14 anni. La giovane era stata dichiarata scomparsa alla fine di maggio nella città di Casoria, situata in provincia di Napoli. Questo tragico evento rappresenta un ulteriore episodio nella drammatica serie di femminicidi che coinvolgono sempre più spesso adolescenti, sia come vittime che come autori.
Il contesto sociale e culturale in cui queste violenze si verificano evidenzia la mancanza di strumenti adeguati per prevenire tali tragedie. Le nuove generazioni, spesso considerate come il motore del cambiamento per eliminare la violenza di genere, si trovano invece prive delle risorse educative necessarie per affrontare e contrastare comportamenti violenti. I segnali di un’escalation violenta, inoltre, sono spesso più evidenti di quanto si possa immaginare, ma frequentemente ignorati.
Negli ultimi due anni, organizzazioni come Save the Children e ActionAid hanno condotto studi approfonditi sul fenomeno della violenza di genere tra gli adolescenti. Secondo l’indagine “I giovani e la violenza tra pari”, realizzata da ActionAid in collaborazione con Ipsos, emergono dati preoccupanti sulle convinzioni dei giovani riguardo alle relazioni intime. Ad esempio, il 78% dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni ritiene che una ragazza possa evitare un rapporto sessuale se davvero lo desidera. Tuttavia, il 22% pensa che le ragazze possano provocare la violenza in base al loro abbigliamento o comportamento considerato provocante.
Un altro aspetto rilevato è la difficoltà dei giovani a riconoscere forme di violenza meno evidenti rispetto a quelle fisiche. Se colpire o toccare in modo inappropriato viene generalmente considerato un atto violento, azioni come inviare messaggi provocatori o fare commenti indesiderati per strada vengono spesso sottovalutate.
Anche nelle relazioni sentimentali emergono atteggiamenti lontani dalla parità di genere. Tre giovani su cinque credono che il ruolo di proteggere il partner spetti al ragazzo, una percentuale che sale al 71% tra i maschi. Il controllo è un tema ricorrente: solo il 41% dei giovani considera una forma di violenza il monitoraggio del telefono o dei social media del partner. Questo dato trova conferma nell’indagine “Le ragazze stanno bene?” condotta da Save the Children, che si concentra sulla cosiddetta violenza “onlife”. Il 21% degli adolescenti ritiene che condividere le password dei dispositivi o dei social network con il partner sia una dimostrazione d’amore. Un numero simile pensa che sia accettabile chiedere l’attivazione della geolocalizzazione per controllare gli spostamenti del partner. Inoltre, il 30% degli adolescenti considera la gelosia un segno d’amore all’interno di una relazione.
Alla luce di questi dati, appare evidente la necessità di rafforzare l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole italiane. Tuttavia, a differenza di altri Paesi europei dove tale educazione è obbligatoria, in Italia non esiste ancora un programma strutturato e uniforme. Recentemente, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha presentato una proposta per introdurre l’educazione sessuale nelle scuole secondarie, ma solo con il consenso dei genitori. Questa decisione ha suscitato reazioni contrastanti: se da un lato ha soddisfatto alcune associazioni contrarie all’educazione sessuale nelle scuole, dall’altro rischia di compromettere l’efficacia di un intervento educativo fondamentale.
Le critiche si concentrano sul fatto che i genitori non intervengono sui programmi scolastici di altre materie come matematica o storia, quindi non dovrebbero avere voce in capitolo sull’educazione sessuale e affettiva. Inoltre, molti esperti sottolineano che affrontare il tema della violenza di genere sin dalla scuola primaria potrebbe contribuire a sensibilizzare le nuove generazioni e a prevenire comportamenti dannosi.
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