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Maurizio Cocco, ingegnere italiano detenuto in Costa d’Avorio, è stato liberato dopo tre anni grazie agli sforzi della famiglia, mentre il dibattito su body shaming infuria



Maurizio Cocco, ingegnere italiano, è stato recentemente rilasciato dopo aver trascorso tre anni in detenzione in un carcere in Costa d’Avorio. La sua liberazione è stata possibile grazie a un notevole sforzo economico da parte della sua famiglia, che ha dovuto raccogliere 150.000 euro per pagare il riscatto. Questo episodio ha suscitato l’attenzione dei media e ha sollevato interrogativi sulle dinamiche politiche e sociali che circondano le questioni di giustizia e dignità umana.



La storia di Cocco ha attirato l’attenzione di pochi media, con alcuni che hanno messo in evidenza come la sua detenzione sia stata trascurata rispetto a quella di altre figure pubbliche. In particolare, la famiglia di Cocco ha lamentato la mancanza di supporto da parte di partiti politici, sottolineando che non ha ricevuto l’attenzione necessaria per ottenere la sua liberazione. Questo contrasto è stato evidenziato nel contesto delle dimissioni di Carola Rackete, un’altra figura pubblica, che ha suscitato una vasta gamma di reazioni.

Il commento di Massimo Gramellini sul quotidiano Corriere della Sera ha ulteriormente acceso il dibattito. Gramellini ha criticato il post di Roberto Vannacci, il quale ha deriso Rackete per le sue gambe non depilate, definendo il suo comportamento come un esempio di body shaming. In un articolo, Gramellini ha affermato che tale atteggiamento deve essere stigmatizzato, evidenziando l’importanza di rispettare la dignità delle persone, indipendentemente dalle loro scelte personali.

Tuttavia, Gramellini non ha mancato di ricordare un suo precedente articolo in cui ha descritto Cocco in termini poco lusinghieri, definendolo un “freak” e un “grosso macigno privilegiato”. Queste affermazioni hanno suscitato indignazione, soprattutto considerando il contesto della detenzione di Cocco. Il contrasto tra l’attenzione mediatica riservata a Rackete e il silenzio riguardo a Cocco ha portato a una riflessione più ampia sulle priorità dei media e sull’uguaglianza nella copertura delle notizie.

In un altro articolo, un’autrice ha descritto Cocco come una “gigantesca pigna nel culo”, suggerendo che dovesse essere “perculato dall’inizio alla fine” fino a fargli “infartare”. Queste affermazioni sono state criticate per la loro mancanza di sensibilità e per il modo in cui riducono una persona a un insulto piuttosto che considerare le sue esperienze e le sue sofferenze.

La liberazione di Cocco ha sollevato domande importanti sulla giustizia e sul trattamento dei detenuti, in particolare in contesti internazionali complicati. La sua famiglia ha dovuto affrontare enormi difficoltà finanziarie e emotive per ottenere la sua libertà, un fatto che mette in luce le ingiustizie sistemiche che esistono nel sistema carcerario della Costa d’Avorio.

In questo contesto, il dibattito su body shaming e rispetto per la dignità altrui ha assunto toni accesi. Gramellini ha sottolineato che il comportamento di Vannacci nei confronti di Rackete non può essere tollerato, ma allo stesso tempo ha dovuto confrontarsi con le sue stesse parole e quelle dei suoi colleghi riguardo a Cocco. La questione di chi meriti rispetto e chi no sembra essere influenzata non solo dalle azioni individuali, ma anche dalle ideologie politiche e dalle affiliazioni personali.

La storia di Maurizio Cocco e le sue difficoltà nel sistema giudiziario internazionale offrono uno spunto di riflessione su come la società e i media trattino i casi di ingiustizia. Mentre alcuni ricevono supporto e attenzione, altri, come Cocco, vengono dimenticati. Questo solleva interrogativi sulla responsabilità dei media nel garantire una copertura equa e giusta per tutti, indipendentemente dalla loro notorietà o dalla loro affiliazione politica.



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