Mi chiamo Giulia, oggi ho 52 anni e vivo a Parma. Quello che sto per raccontare è il segreto più grande e doloroso della mia vita. Uno di quelli che, anche dopo tanti anni, brucia come il primo giorno.
Avevo 37 anni quando tutto è cambiato. Ero sposata con Luca da oltre un decennio, avevamo una bambina di 6 anni, Chiara, e una casa piena di rumore, colori e fotografie. Lui era un tecnico informatico, io insegnavo lettere in un liceo. Non eravamo perfetti, ma ci amavamo. O almeno così credevo.
Poi, un giorno d’estate, Luca è sparito.
Era venerdì. Aveva accompagnato Chiara a scuola mentre io uscivo per una visita medica. Tornata a casa, non c’era. Non c’erano le sue chiavi, né il suo cellulare. Nessuna valigia, solo un paio di abiti in meno nell’armadio. Aveva portato via pochissimo, ma era evidente: non sarebbe tornato.
E con lui, era scomparsa anche Elena, la baby-sitter che ci aiutava da qualche mese. Una ragazza giovane, dolce, timida. O così sembrava.
In un attimo, tutto crollò.
Chiamai la polizia. Denunciai la scomparsa. Passai settimane a dormire vestita sul divano, sperando in una chiamata, un messaggio, un segnale.
Poi arrivò. Un messaggio freddo, secco:
“Lasciaci in pace. È meglio così.”
Nessuna firma, ma il numero era di Luca. Non rispondeva più dopo quel messaggio. Elena risultava irreperibile. La polizia archiviò la segnalazione come allontanamento volontario.
Mi ritrovai sola con Chiara, una figlia che continuava a chiedere “Perché papà non torna?” e io che dovevo fingere forza mentre sentivo il cuore disfarsi dentro me.
Con il tempo, ho fatto l’unica cosa possibile: sono andata avanti. Per mia figlia. Ho cambiato casa, ho lasciato il lavoro per un periodo, ho seguito una terapia. Chiara è cresciuta, bella, brillante, dolce. Come suo padre.
Ogni tanto mi chiedevo se avrei mai più saputo qualcosa. Ma col passare degli anni, la speranza svaniva.
Poi, quindici anni dopo, a un passo dal mio compleanno, mi è arrivata una mail da un mittente sconosciuto.
Oggetto: “Devi sapere la verità.”
Era Luca.
Diceva che stava morendo, e che prima di andarsene aveva bisogno di dirmi tutto. Che non era mai stato innamorato di Elena, e che non mi aveva mai tradita… non in quel modo, almeno.
Scriveva che Elena aveva scoperto qualcosa su Chiara. Qualcosa che lui stesso non sapeva: non era il padre biologico di nostra figlia.
Mi raccontò che un giorno, pochi mesi prima della sua scomparsa, Elena aveva rubato dalla nostra stanza un pettine con i capelli di Chiara. Lo aveva fatto analizzare. Il DNA aveva parlato: nessuna parentela con Luca.
Non sapevo cosa pensare. Mi accusava? No. Diceva che non l’avevo mai tradito, che secondo lui Chiara era frutto di un errore medico: un’inseminazione errata, o uno scambio in clinica. Avevamo infatti affrontato una fecondazione assistita in quegli anni. E lui non me ne aveva mai parlato, perché non sapeva come affrontarlo.
Elena, secondo il suo racconto, lo aveva minacciato: se non fosse andato via con lei, avrebbe distrutto tutto. Così era fuggito, senza il coraggio di affrontare me. Ma la vita con Elena era stata un inferno. “Mi ha isolato, controllato, umiliato”, scriveva. E ora, che stava per morire di tumore, voleva rimediare.
Allegava un file: un test del DNA, fatto due mesi prima, che confermava tutto.
E un messaggio per Chiara:
“Forse non sono tuo padre di sangue. Ma ti ho amata dal primo momento in cui ti ho tenuta in braccio. E ti amerò fino all’ultimo respiro. Perdonami.”
Mi tremavano le mani. Non riuscivo a respirare. Ho riletto tutto tre volte. Poi mi sono chiesta: “Lo mostro a Chiara?”
Ci ho messo giorni, ma alla fine l’ho fatto.
Lei è rimasta in silenzio. Mi ha guardata con occhi pieni di lacrime.
Poi ha detto solo una cosa:
“Lui è mio padre. Anche se è sparito, anche se non era perfetto. E tu sei mia madre, e sei stata tutto per me. Questa è la mia verità.”
Luca è morto pochi giorni dopo. Elena non ha mai più dato notizie.
Non ho mai cercato il padre biologico di Chiara. Non ci interessa. Per noi, la verità è in ciò che scegliamo di essere, non in un DNA.
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