Il 23 settembre 2019, Ilaria Parimbelli, una ragazza di 26 anni, si presentò al pronto soccorso dell’ospedale di Zingonia, in provincia di Bergamo, con sintomi preoccupanti: febbre alta, forte cefalea, vomito e allucinazioni uditive e visive. Nonostante il quadro clinico complesso, la giovane venne dimessa con un semplice consiglio di evitare situazioni stressanti. Quattro giorni dopo, una corretta diagnosi di encefalite erpetica al Papa Giovanni XXIII arrivò troppo tardi. La malattia aveva già compromesso irreversibilmente il suo stato di salute, lasciandola in uno stato di minima coscienza per due anni, fino alla sua morte avvenuta l’1 agosto 2021.
Oggi, Francesco Bagnolo, il medico che quel giorno prese in carico Ilaria, è a processo con l’accusa di omicidio colposo per un presunto “irrecuperabile ritardo nella diagnosi”. L’intera vicenda ha sollevato interrogativi sul ruolo della tempestività e dell’attenzione ai sintomi nei casi di emergenza medica.
Il racconto del medico sotto accusa: “Convinto che la Tac sarebbe stata negativa”
Durante l’udienza tenutasi il 12 febbraio, il dottor Francesco Bagnolo ha ripercorso i fatti del giorno in cui subentrò al collega che aveva inizialmente preso in carico Ilaria. “Alle 8 ho preso servizio e fatto il passaggio di consegne”, ha spiegato il medico. Il collega gli aveva riferito di una sospetta sepsi, motivo per cui erano stati avviati alcuni esami del sangue. “Intorno alle 10 i risultati erano pronti e indicavano indici infiammatori negativi”, ha aggiunto.
Bagnolo ha raccontato di aver intervistato la paziente, che parlava di precedenti attacchi di panico e cefalee croniche. “Mi ha riferito di sentire delle urla, sintomi che ho associato a allucinazioni uditive legate all’ansia”. Quando la pm Maria Esposito ha chiesto perché non fosse stata prescritta una Tac, il medico ha risposto: “Se non fosse stato per le cefalee pregresse, l’avrei prescritta. Ma sono convinto che sarebbe stata negativa”.
Tuttavia, secondo l’accusa, i sintomi riportati – febbre, cefalea intensa, vomito e allucinazioni visive e uditive – avrebbero dovuto spingere a ulteriori approfondimenti diagnostici. La pm sostiene che l’omissione di questi esami abbia contribuito al drammatico peggioramento delle condizioni della ragazza.
La diagnosi tardiva e le conseguenze devastanti
Il quadro clinico di Ilaria si aggravò rapidamente. Quattro giorni dopo essere stata dimessa dall’ospedale di Zingonia, fu ricoverata d’urgenza al Papa Giovanni XXIII, dove le venne diagnosticata un’encefalite erpetica, un’infezione grave e potenzialmente letale che colpisce il cervello. La malattia aveva ormai compromesso in modo irreversibile le sue funzioni neurologiche, costringendola a vivere in uno stato vegetativo per due anni.
La giovane donna non era più in grado di camminare, mangiare o lavarsi da sola. La sua vita si concluse tragicamente l’1 agosto 2021, quando una crisi epilettica – conseguenza diretta della sua condizione – le causò il soffocamento.
La battaglia legale: tra giustizia e responsabilità medica
Il processo contro Francesco Bagnolo è tuttora in corso. La famiglia di Ilaria – rappresentata dall’avvocato Oliviero Mazza – si è costituita parte civile, chiedendo giustizia per una tragedia che ritiene evitabile. Dall’altra parte, il medico sessantaduenne è difeso dall’avvocato Massimo Cordiano, che punta a dimostrare che le sue azioni furono coerenti con i dati clinici disponibili al momento.
Il caso solleva importanti riflessioni su temi come la gestione delle emergenze mediche, l’importanza della tempestività diagnostica e il peso delle decisioni cliniche nei contesti ad alta pressione.
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