Un annuncio di lavoro pubblicato su Facebook da Paolo Cappuccio, rinomato chef napoletano con una lunga carriera e diverse stelle Michelin al suo attivo, ha scatenato un acceso dibattito a livello nazionale. L’annuncio, destinato alla ricerca di personale per un hotel situato in Val di Fassa, ha suscitato polemiche non tanto per i requisiti professionali richiesti, quanto per le espressioni discriminatorie utilizzate per escludere alcune categorie di persone.
Nel testo dell’annuncio, lo chef specificava chiaramente di non voler assumere “comunisti, fannulloni, persone con problemi di alcol o droga e chi ha problemi di orientamento sessuale”. La frase conclusiva, “se resta qualche soggetto più o meno normale, ben volentieri”, ha ulteriormente alimentato le critiche. Sebbene il post sia stato rimosso poche ore dopo la pubblicazione, il contenuto aveva già fatto il giro dei social, dividendo l’opinione pubblica tra chi lo difendeva e chi lo condannava.
Tra i primi a reagire è stata l’Arcigay, che ha annunciato la possibilità di intraprendere un’azione legale contro lo chef. Shamar Droghetti, presidente dell’Arcigay Trentino, ha dichiarato: “Non è solo una frase infelice, è una violazione della legge. Discriminare sul lavoro per l’orientamento sessuale è vietato. Speriamo di avere presto un quadro giuridico chiaro, il nostro avvocato sta valutando i prossimi passi”. Secondo l’associazione, questo episodio è emblematico di un problema più ampio: “Questo annuncio fotografa un’Italia dove il pregiudizio è ancora profondo. È solo uno dei casi venuti a galla, ma la discriminazione sommersa è ovunque. Chi cerca lavoro spesso viene giudicato per chi è, non per ciò che sa fare”.
Anche il mondo politico non è rimasto in silenzio. Paolo Zanella, consigliere provinciale del Partito Democratico, ha definito il post una “legittimazione all’odio”. In una nota ha sottolineato: “Nel 2025 c’è ancora chi crede sia normale discriminare per orientamento sessuale o appartenenza politica. Il principio di uguaglianza è sancito dalla Costituzione. E non va dimenticato il rispetto dovuto anche a chi ha affrontato problemi di dipendenze: situazioni personali spesso drammatiche, che meritano sostegno, non derisione”.
Le critiche sono arrivate anche dal Partito Comunista. Valeria Allocati, segretaria del Partito Comunista di Trento, ha commentato duramente: “Comprendiamo perché non vuole comunisti in cucina: per avere le mani libere. I comunisti difendono i diritti e la sicurezza sul lavoro, contro sfruttamento e precarietà. La sua è una forma di discriminazione culturale e sociale, e i social sono lo strumento per farsi pubblicità nel modo più becero. Non ci avrà come clienti”.
Oltre alle parole discriminatorie contenute nell’annuncio, un altro dettaglio legato alla figura dello chef ha attirato l’attenzione: Paolo Cappuccio ha dichiarato di avere una svastica tatuata sul corpo. In merito a questo simbolo controverso, lo chef si è giustificato affermando che si tratta di “un gesto di protesta”. Tuttavia, questa spiegazione non è bastata a placare le polemiche.
Non è la prima volta che lo chef si trova al centro di una bufera mediatica. Già nel 2020 aveva pubblicato un annuncio simile per la stagione estiva a Caorle, utilizzando toni che avevano suscitato reazioni simili. Anche in quell’occasione il post era stato rimosso dopo le critiche ricevute.
Questo nuovo episodio solleva interrogativi più ampi sulla discriminazione nel mondo del lavoro in Italia. Sebbene esistano leggi che vietano esplicitamente comportamenti discriminatori basati su orientamento sessuale, appartenenza politica o condizioni personali, casi come questo dimostrano che tali norme non sempre vengono rispettate. La vicenda ha anche evidenziato come i social media possano amplificare rapidamente episodi di intolleranza, trasformandoli in questioni di interesse pubblico.



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