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Silvana De Mari attacca un esponente CGIL: “Da figlia di sindacalisti, vi dico che avete perso il senso del lavoro”



mi permetto di scriverLe non solo come cittadina, ma come persona cresciuta in una famiglia che ha fatto del sindacato una scelta di vita e di giustizia sociale. I sindacati della mia città natale, Santa Maria Capua Vetere, furono fondati dal mio prozio, l’avvocato Antonio Indaco, antifascista convinto, incarcerato per le sue idee. Dopo la guerra, quegli stessi sindacati furono rifondati da mio padre, l’avvocato Alberto De Mari, che per coerenza e militanza sindacale rinunciò alla carriera in magistratura. Pur avendo superato gli esami scritti, gli fu negato l’accesso agli orali perché “troppo schierato”. Mio padre ha sempre considerato questa esclusione legittima: un magistrato non deve solo essere imparziale, deve anche apparirlo.



Oggi, questa affermazione suona quasi ironica. Viviamo in un’epoca in cui la politicizzazione di settori fondamentali dello Stato, come la magistratura e i sindacati, è ormai dichiarata. Ma quando la neutralità delle istituzioni viene meno, come ci ha insegnato Tocqueville, la democrazia vacilla.

Mi rivolgo a Lei in nome di quei sindacalisti veri che hanno lottato e pagato con la carriera e, talvolta, con la libertà. E mi rivolgo a Lei soprattutto in nome dei lavoratori, perché in Italia si muore ancora di lavoro, ogni giorno. Tre morti al giorno: è il bilancio attuale. Dal 2021 al 2024, sono state registrate 4.442 vittime sul lavoro. Il settore più colpito è quello dell’edilizia, con 564 morti. Le aree più a rischio sono il Centro e il Sud, dove più evidenti risultano le carenze di controlli, le omissioni, la scarsa cultura della sicurezza.

Queste tragedie non sono fatalità. Non sono “sfortuna”. Sono il risultato diretto di un sistema che non investe sulla vita, ma su altre priorità, come un’accoglienza indiscriminata che spesso diventa un’arma di ricatto per abbassare i salari, aumentare il rischio e alimentare sfruttamento.

Un sindacalista dovrebbe parlare ogni giorno di queste morti. Ogni ora. Pretendere controlli, fondi, responsabilità. E invece, durante la pandemia, Lei non ha difeso i lavoratori né dal punto di vista sanitario né da quello sociale. Non ha messo in discussione l’obbligo della mascherina, né il lockdown imposto con modalità discutibili, né l’obbligo vaccinale su farmaci ancora sperimentali. Ha accettato tutto, tacitamente o esplicitamente.

Mentre interi comparti economici crollavano, mentre negozi e aziende chiudevano, mentre lavoratori venivano emarginati per non essersi sottoposti a trattamenti sanitari imposti, Lei ha preferito allinearsi. Questo non è stato degno di un sindacalista.

Lo stesso silenzio — o la stessa inerzia — ha accompagnato le grandi crisi industriali del Paese: Stellantis, Ilva, Iveco. Migliaia di posti di lavoro persi o a rischio, e da parte sua nessuna presa di posizione forte, nessuna vera mobilitazione.

Oggi in Italia si sciopera spesso, ma senza risultati concreti per i lavoratori. I salari reali sono tra i più bassi d’Europa, l’inflazione erode ogni guadagno, e il potere d’acquisto è in costante calo. Lo sciopero è diventato un’arma politica, non sindacale. Non è più strumento di trattativa per migliori condizioni di lavoro, ma un mezzo per fare opposizione al governo — qualsiasi esso sia — o per esprimere posizioni ideologiche.

Tutto ciò, a mio avviso, non è degno di un sindacalista.

Il 7 ottobre 2023 il mondo ha assistito a un orrore: civili israeliani massacrati con sadismo, in un’orgia di violenza documentata dagli stessi carnefici. Di fronte a questo, nelle manifestazioni da voi promosse o sostenute, si è taciuto, si è giustificato, si è distorto. Si è confuso l’odio con la giustizia. Sventolare bandiere di Hamas non è libertà di opinione: è legittimare un’organizzazione terroristica. L’antisemitismo, mascherato da militanza politica, è riemerso sotto forma di slogan, striscioni, silenzi.

Questo, oltre a non essere degno di un sindacalista, non è degno nemmeno di un essere umano.

Lei ha contribuito ad alimentare l’odio, ha presentato la crudeltà come compassione, ha tradito la funzione nobile del sindacato, quella di difendere chi lavora, non di usare i lavoratori per altri scopi. Oggi l’elettorato ha reagito, e lo ha fatto premiando chi ha subito le vostre accuse più feroci. La storia, però, è maestra severa: chi tradisce, alla fine, ne paga il prezzo.

Non è il consenso ciò che deve temere, ma qualcosa di più profondo: la perdita di credibilità, la collera della giustizia, umana e divina.

Con rispetto per la funzione, ma nessuna stima per l’uso che ne ha fatto,



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