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Trump propone una “tecnocrazia” per Gaza con Blair: Netanyahu dice sì, Hamas valuta la resa



Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha lanciato una proposta ambiziosa per porre fine al conflitto nella Striscia di Gaza, delineando un piano che prevede la creazione di una “tecnocrazia internazionale” sotto la sua direzione e quella dell’ex Primo Ministro britannico, Tony Blair. Questo progetto mira a trasformare la devastata area in una sorta di “Dubai del Mediterraneo”, un obiettivo che sembra tanto utopico quanto distopico.



L’accordo ha già ricevuto il consenso del Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ed è attualmente in fase di valutazione da parte di Hamas. Tuttavia, il piano solleva numerosi interrogativi e preoccupazioni tra esperti e analisti.

Il fulcro della proposta risiede nella gestione post-bellica di Gaza. L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) non avrà un ruolo immediato nella governance della regione. Invece, un “Board of Peace” internazionale, guidato da Trump e con la partecipazione di Blair, supervisionerà un comitato palestinese privo di connotazioni politiche, che si occuperà dei servizi quotidiani. Questo modello promette ingenti investimenti per la ricostruzione e lo sviluppo economico, ma è oggetto di forti critiche per la sua struttura gerarchica e per l’assenza di un chiaro percorso democratico per il popolo palestinese. Mentre si parla di opportunità e riqualificazione, molti vedono la “tecnocrazia” come una forma di amministrazione fiduciaria imposta dall’esterno, con decisioni cruciali nelle mani di figure internazionali già controverse nella regione.

Un ulteriore aspetto cruciale riguarda la sicurezza e il ritiro delle forze israeliane. Il piano prevede un cessate il fuoco immediato e la restituzione degli ostaggi entro 72 ore, in cambio del rilascio di prigionieri palestinesi da parte di Israele. Tuttavia, il ritiro delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) non sarà né immediato né incondizionato; avverrà per fasi legate alla completa smilitarizzazione di Gaza e all’introduzione di una Forza Internazionale di Stabilizzazione (FIS) temporanea.

Questo meccanismo, sebbene offra una tregua necessaria, consente a Israele di mantenere un’influenza significativa sui tempi e sulle modalità del suo disimpegno, senza una scadenza definita. Per Hamas e per la popolazione di Gaza, accettare tali condizioni equivarrebbe a una resa totale, comportando la rinuncia a qualsiasi ruolo di governance e l’obbligo di disarmo. Nonostante ciò, forti pressioni da parte degli Stati arabi spingono l’organizzazione a considerare l’accettazione del piano, evidenziando la volontà regionale di chiudere un capitolo di conflitto a favore di una stabilità, sebbene imposta.

Mentre il dibattito politico internazionale si intensifica intorno ai dettagli dell’accordo, la situazione sul campo rimane drammatica. A Gaza, il conflitto continua a mietere vittime. Tuttavia, anche tra le macerie, emerge una flebile speranza. Sami Abu Omar, un residente della Striscia, esprime il desiderio di pace: “Non sappiamo cosa significhi tecnocrazia. Sappiamo solo che non possiamo sopportare un altro giorno di bombardamenti. Qualsiasi cosa prometta la fine della guerra e un futuro per i nostri figli, anche se la governa un consiglio venuto da lontano, è un’opzione che valutiamo. Dopo tutto quello che abbiamo perso, l’unica cosa che conta è la vita.”



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