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Una donna divorziata ha assistito un anziano in un villaggio e ha ricevuto un’eredità che non avrebbe mai potuto immaginare



Galina camminava a passo veloce lungo il binario, il respiro affannato dalla fatica e dalla paura di perdere l’ultimo treno. Le borse pesavano sulle sue spalle, ma con un ultimo sforzo riuscì a salire sul treno proprio mentre le porte si chiudevano. Una volta dentro, si lasciò cadere su una panchina e cercò di calmare il battito accelerato del cuore. Aprì la borsa con mani tremanti, tirò fuori un piccolo specchio e si osservò: il volto segnato dalla stanchezza, le occhiaie marcate, i capelli danneggiati da una permanente mal riuscita. Un sorriso amaro le sfiorò le labbra. “Ecco il risultato di anni accanto a quell’uomo,” pensò con disillusione.



Il viaggio sarebbe durato un’ora e mezza. Chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dai ricordi, che la riportarono indietro nel tempo, a un passato che non la lasciava in pace. Da bambina, non aveva mai conosciuto il calore di una famiglia vera.

La polizia l’aveva trovata all’età di cinque anni, abbandonata su una panchina di una stazione ferroviaria, affamata e infreddolita. Quando rintracciarono i suoi genitori, scoprirono che l’alcol li aveva resi così ciechi da non essersi nemmeno accorti della sua scomparsa. Fu così affidata a un orfanotrofio, dove la vita si rivelò ancora più dura. Le giornate erano scandite dalla fame, dalle punizioni e dalla paura di essere rinchiusa in uno sgabuzzino buio e infestato dai topi.

Raggiunta l’età adulta, le venne assegnata una stanza fatiscente, che presto venne demolita senza che nessuno le offrisse un’alternativa. Ritrovandosi senza casa e senza mezzi, trovò lavoro come donna delle pulizie in un motel, adattandosi a dormire in uno sgabuzzino degli attrezzi. Sperava che il matrimonio potesse rappresentare la sua salvezza. Quando incontrò Nicolò, lui le sembrò affascinante, sicuro di sé, pieno di progetti per il futuro.

Si sposarono in fretta, ma la realtà si rivelò ben diversa: Nicolò non era altro che un uomo pigro, bugiardo e affogato nell’alcol. Mentre lei si impegnava a lavorare per entrambi, lui dissipava ogni risparmio in vizi e serate spensierate. Dopo anni di sacrifici, quando finalmente riuscì ad accumulare abbastanza denaro per comprarsi una casa, Nicolò la derubò senza scrupoli, sperperando tutto in una sola notte. Fu il colpo finale: Galina prese le sue poche cose e lo lasciò, decisa a ricominciare da capo.

Le difficoltà non tardarono ad arrivare. Quando vide un annuncio in cui un anziano cercava assistenza in cambio di vitto e alloggio, non esitò. Vito, un contadino ormai troppo debole per badare a sé stesso, la accolse nella sua casa modesta. Col tempo, tra loro nacque un affetto sincero, simile a quello che potrebbe esserci tra padre e figlia. Quando Vito morì, la casa divenne sua, ma in uno stato talmente precario che ogni angolo sembrava sul punto di crollare. Eppure, Galina non si arrese.

Un giorno di tempesta, bussò alla sua porta uno sconosciuto dall’aspetto trasandato. Si presentò come Michele, un geologo senza dimora. Ogni istinto le suggeriva di chiudere la porta, ma qualcosa dentro di lei la trattenne. Michele si dimostrò un lavoratore instancabile: sistemò la staccionata, si occupò dei lavori più pesanti e divenne una presenza rassicurante. Per la prima volta dopo tanto tempo, Galina si sentiva meno sola.

Poi scoprì la verità. Michele era un ex detenuto in fuga. Avrebbe potuto cacciarlo, denunciarlo. Ma non lo fece. Lo ascoltò, lasciandogli raccontare la sua storia, gli errori della giovinezza, il carcere, il desiderio di riscattarsi. Giorno dopo giorno, il loro legame si rafforzò, trasformandosi in qualcosa di più profondo. Ma la felicità durò poco: un vicino, mosso dall’invidia, segnalò la presenza di Michele alle autorità. Quando la polizia venne a prenderlo, Galina si aggrappò a lui, cercando di trattenerlo. Michele, però, le sussurrò un’ultima promessa prima di lasciarsi portare via: “Ti scriverò.”

Passarono mesi. Ogni giorno controllava la cassetta della posta, finché finalmente una lettera arrivò. Michele le chiedeva di dimenticarlo, di non aspettarlo. Ma come poteva?

Proprio quando il dolore sembrava insopportabile, scoprì di aspettare dei figli. Non uno, ma due. La gravidanza fu difficile, tanto che i medici decisero di ricoverarla fino al parto. Nel frattempo, Michele, privo di notizie, temeva di essere stato dimenticato. Quando finalmente uscì di prigione, si precipitò alla casa di Galina, ma la trovò vuota. Solo un’anziana vicina gli rivelò la verità: Galina era in ospedale, aveva appena dato alla luce i loro bambini.

Michele corse da lei. Quando la vide alla finestra della maternità, gridò con voce rotta dall’emozione: “Grazie per i nostri figli! Ti amo!” Galina scoppiò in lacrime.

Quando tornarono a casa, Michele si rivelò un padre premuroso e un compagno devoto. Costruì con le proprie mani le culle di legno per i gemelli, sistemò la casa e trovò un lavoro onesto. Insieme avviarono una piccola fattoria, vendendo latte e formaggi, guadagnandosi il rispetto della comunità. Alla fine, si sposarono ufficialmente, mettendo radici in quel luogo che un tempo sembrava solo un rifugio di passaggio.

Dopo anni di solitudine, privazioni e lotte, Galina aveva finalmente trovato ciò che aveva sempre desiderato: una casa, una famiglia, un amore vero.



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