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Una donna single discriminata da un canile milanese: «Se fossi stato un ragazzo avresti avuto più chances»



Lara, una ventinovenne milanese, racconta di essere stata respinta da un’associazione che collabora con un canile, esclusivamente perché donna e single, nonostante lavori stabile e conviva sola.




La vicenda prende avvio quando Lara, giovane professionista di Milano, decide di adottare un cane da un canile cittadino. Motivata dal desiderio di offrire una casa a un animale in difficoltà, compila con cura e onestà un modulo richiesto dall’associazione partner. Rispondendo a domande sul suo stile di vita, la sua abitazione in appartamento e le sue responsabilità lavorative, fornisce tutte le informazioni utili per valutare la sua idoneità. Tuttavia, la risposta ricevuta sorprende e delude: secondo l’associazione, essere “giovane e sola” non risponderebbe ai loro requisiti, e questo la renderebbe non idonea all’adozione. 

Contraddittoriamente, l’associazione avrebbe specificato che se fosse stato un uomo, le avrebbe offerto maggiori opportunità. Non solo per le presunte capacità fisiche o di protezione, ritenute più adatte in un uomo, ma anche perché un uomo “non correrebbe il rischio di rimanere incinto” e sarebbe più disponibile per portare fuori il cane, anche la sera. Un discorso che conferma, secondo Lara, il carattere discriminatorio della scelta.

Sentendosi trattata “come inferiore”, Lara sottolinea che le motivazioni addotte dall’associazione non hanno nulla a che vedere con la sua effettiva capacità di badare a un animale: ha quasi trent’anni, un buon stipendio, un’abitazione adeguata e la determinazione necessaria per prendersi cura di un cane. Nonostante questo, le sue qualità vengono invalidate dal fatto che viva sola. 

Per reperire maggiori dettagli, la giovane riflette sulle motivazioni addotte dall’associazione. Le viene spiegato che il genere derogherebbe persino sul piano della disponibilità a occuparsi dell’animale – sull’assunto che una donna, potenzialmente in gravidanza, non sarebbe presente per le uscite serali e la cura quotidiana del cane. Una posizione che Lara percepisce come profondamente sessista e lesiva della sua dignità, tanto da spingerla a denunciare pubblicamente la vicenda.

Costretta a rinunciare all’adozione tramite il canile, la ragazza ha poi optato per l’acquisto da un allevatore privato. Se da un lato questa soluzione ha soddisfatto il suo desiderio, dall’altro rappresenta un privilegio che molti non possono permettersi. Lara stessa riconosce che molti aspiranti adottanti – e tanti cani in attesa – restano penalizzati da restrizioni eccessive; il rischio è che animali bisognosi rimangano senza una famiglia, in attesa di condizioni “perfette” che troppo spesso risultano arbitrarie. 

In conversazioni con amiche e colleghe, Lara scopre che la sua esperienza è tutt’altro che isolata. Diverse donne le confermano storie analoghe: sono state scartate per motivi simili, con rimandi alla loro condizione di singole o di lavoro non considerato compatibile con i canoni richiesti. A tutte è stata ripetuta la stessa frase: “Se fossi stata un ragazzo avresti avuto più chances.” 

La discriminazione di genere, spiega, si manifesta – paradossalmente – anche in ambiti dove valgono i valori della solidarietà e del benessere animale. Suona paradossale che il diritto di prendersi cura di un essere vivente venga negato per stereotipi legati al sesso o allo stato civile. Secondo Lara, la selezione istituzionale fatta da alcune associazioni finisce per “limitare la possibilità a moltissimi cani di trovare una famiglia”. 



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