Non so nemmeno da dove cominciare. Forse dal punto in cui ho smesso di credere che le cose potessero andare meglio. O forse da quel giorno in cui ho capito che anche chi si sente perso può ritrovarsi.
Mi chiamo Laura, ho 39 anni e sono mamma di due meravigliosi bambini: Marco, 9 anni, e Giulia, 5. Sono diventata mamma single tre anni fa, da un giorno all’altro. Mio marito se n’è andato, lasciando solo un biglietto sul tavolo della cucina. “Non ce la faccio più”, c’era scritto. Nessuna spiegazione, nessun confronto. Da allora, ho imparato a fare tutto da sola.
Per un po’, ce l’ho fatta. Lavoravo part-time in una piccola panetteria e la sera facevo pulizie in un ufficio. Non avevamo molto, ma bastava per pagare l’affitto, fare la spesa e regalare ai miei figli qualche sorriso. Poi è arrivato l’inverno scorso.
Il mio contratto part-time non è stato rinnovato. L’ufficio dove pulivo ha chiuso. Tutto insieme, nel giro di un mese. Ho mandato centinaia di curriculum, camminato per ore tra un negozio e l’altro lasciando il mio numero ovunque. Nessuna risposta.
Nel frattempo, l’affitto si accumulava. Il frigorifero si svuotava. E io mi svegliavo ogni mattina cercando di capire quale bugia inventare per non far preoccupare Marco e Giulia.
Un pomeriggio, mentre i bambini guardavano un cartone sul divano, mi sono seduta in bagno, ho chiuso la porta e ho pianto. Di nascosto, come fanno le mamme che non vogliono far vedere quanto stanno male.
Poi è arrivata quella sera. Pioveva forte. Avevamo finito tutto: latte, pane, perfino i biscotti. Ho preso coraggio, ho avvolto i bambini in due coperte e siamo usciti. Pensavo di andare in chiesa a chiedere qualcosa, qualsiasi cosa. Ma lungo la strada ci siamo fermati sotto una tettoia per ripararci dalla pioggia, ed è lì che una signora anziana si è avvicinata.
Non ci conosceva. Ci ha guardati, ha incrociato lo sguardo di mio figlio e ha capito.
«Avete bisogno di qualcosa?» ha chiesto.
Ho provato a rispondere di no. Ma la mia voce tremava. E lei ha insistito. Alla fine ho raccontato tutto: senza abbellimenti, senza orgoglio.
Quella donna ci ha portati a casa sua. Ci ha preparato una zuppa calda, ci ha asciugato i vestiti e ha messo a letto i bambini in un letto vero, pulito, con coperte che profumavano di bucato.
Io non sapevo come ringraziarla. Lei mi ha solo detto:
«Una volta qualcuno l’ha fatto per me. Ora tocca a me restituire.»
Il giorno dopo mi ha accompagnata da un’amica che gestiva un’associazione per donne in difficoltà. Mi hanno aiutata con il cibo, mi hanno trovato un lavoretto in una mensa scolastica, e dopo un mese ho trovato un appartamento piccolo ma accogliente.
Oggi ho ancora pochi soldi, ma un cuore pieno di gratitudine. I miei figli stanno bene, ridono di nuovo. E ogni volta che posso, cucino una pentola di zuppa in più, la porto sotto la chiesa e la lascio per chi ha fame.
Perché se c’è una cosa che ho imparato da tutto questo, è che la gentilezza si trasmette come una scintilla. Basta un gesto per cambiare la giornata a qualcuno. A volte, anche la vita.
Se sei arrivato a leggere fin qui, ti ringrazio. E se mai vedrai qualcuno fermo sotto la pioggia con due bambini, fermati un attimo. Potresti essere il loro miracolo.
❤️
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