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Mio padre ed io siamo medici. Abbiamo appena finito un’operazione di 10 ore, salvando un paziente dall’orlo della morte



Ho appena finito la decima ora di sala operatoria. Il sudore mi scivola lungo la schiena sotto il camice, la mascherina mi stringe il viso, ma non riesco a smettere di sorridere. Al mio fianco c’è mio padre, che si toglie i guanti con gesti lenti, stanchi ma soddisfatti. Abbiamo appena salvato una vita insieme.



Il paziente era arrivato in codice rosso, il cuore che batteva a stento, una ferita che sembrava impossibile da chiudere. In sala operatoria, il tempo si è fermato. Ogni secondo contava, ogni decisione era cruciale. Mio padre, con quella calma che solo lui sa avere, mi ha guidato passo dopo passo. “Taglia qui,” mi ha detto, indicando con precisione. “Adesso sutura, lentamente, non avere fretta.”

Ho seguito le sue istruzioni, le mani che non tremavano solo grazie alla concentrazione che mi ha insegnato da quando ero bambina. Ricordo ancora le prime volte che mi portava in ospedale, che mi spiegava come funzionava un cuore, una vena, un muscolo. Oggi, quelle parole sono diventate realtà tra le mie dita.

Verso la sesta ora, il paziente ha perso pressione. Il monitor suonava allarmi, ma mio padre non ha perso la calma. “Respira, pensa,” mi ha sussurrato. “Abbiamo fatto di peggio.” E così, insieme, abbiamo combattuto contro il tempo, contro la stanchezza, contro la paura di perdere quella vita tra le nostre mani.

Alla fine, quando il cuore ha ricominciato a battere regolarmente, ci siamo scambiati uno sguardo. Non servivano parole. In quel momento, ho capito che essere medico non è solo sapere cosa fare, ma anche avere qualcuno accanto che ti ricorda chi sei, anche quando tutto sembra andare storto. Mio padre è stato il mio punto fermo, la mia sicurezza, il mio maestro.

Ora, mentre ci cambiamo, siamo stanchi ma felici. Il paziente è fuori pericolo, la famiglia ci ringrazia con gli occhi lucidi. Io guardo mio padre e penso che, in fondo, siamo stati fortunati: non solo abbiamo salvato una vita oggi, ma abbiamo condiviso qualcosa che va oltre il lavoro, oltre la medicina. Abbiamo condiviso una passione, un amore per la vita che ci unisce più di qualsiasi altro legame.

E domani, quando torneremo in ospedale, lo faremo ancora insieme, pronti ad affrontare qualsiasi sfida, perché siamo medici, ma soprattutto padre e figlia.



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