Dopo diciotto ore di intense discussioni a Bruxelles, è stato raggiunto un accordo sul target climatico per il 2040. Tuttavia, molti osservatori ritengono che si tratti di un compromesso solo apparente. L’intento di rendere l’Unione Europea più realista nella sua politica climatica si è tradotto in un’operazione che, secondo i critici, non modifica sostanzialmente il Green Deal, rimasto bloccato come un simbolo ideologico.
La Commissione Europea ha dichiarato di aver trovato un “compromesso ambizioso”, ma in realtà le modifiche apportate sono minime. Seppur siano state introdotte alcune flessibilità, come l’aumento dei crediti di carbonio e lo slittamento di un anno dell’ETS2, la sostanza degli obiettivi rimane invariata rispetto a quanto stabilito dal precedente vicepresidente Frans Timmermans, noto per la sua spinta verso la decarbonizzazione totale.
Nel dettaglio, l’obiettivo di riduzione delle emissioni fissato al 90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990 è rimasto inalterato. Questo target, stabilito in un contesto storico ormai lontano, viene ora presentato con la possibilità di maggiore flessibilità. Gli Stati membri potranno utilizzare fino al 5% di crediti internazionali di carbonio, con la possibilità di aggiungere un ulteriore 5% in seguito. Tale approccio di “contabilità creativa” potrebbe ridurre il vero taglio delle emissioni a un valore compreso tra l’85% e l’80%.
Inoltre, l’estensione del sistema di quote ETS al trasporto stradale e al riscaldamento degli edifici è stata posticipata dal 2027 al 2028. Questa proroga è stata interpretata come un contentino per l’Italia, che ha lottato per la difesa dei motori a combustione interna e per il riconoscimento dei biocarburanti. Tuttavia, i cambiamenti apportati sono considerati insufficienti, con la burocrazia e i costi per le imprese e le famiglie che rimangono elevati.
Nonostante ciò, la Commissione ha celebrato il raggiungimento dell’accordo, con i ministri ambientalisti che hanno parlato di un “passo avanti storico”. Il commissario olandese Hoekstra ha elogiato il ruolo dell’Europa come “leader mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico”. Tuttavia, questa leadership sembra essere a carico degli Stati membri, mentre paesi come la Cina e altre nazioni produttrici di petrolio continuano a ignorare le normative europee, facendo apparire l’Europa come un attore che si auto-sabotaggio in nome della pura ecologia.
Il ministro Pichetto Fratin, che ha guidato la fronda “realista”, ha espresso soddisfazione per i risultati ottenuti, sottolineando l’importanza del riconoscimento dei biocarburanti e del rinvio dell’ETS2. Tuttavia, la realtà è che l’Italia, insieme a Vienna e ad altri pochi stati, ha avuto l’opportunità di opporsi in modo più deciso, ma ha invece accettato un testo che apporta modifiche marginali.
L’Unione Europea si illude di aver adottato un approccio più pragmatico, mentre in realtà ha solo apportato piccole modifiche al suo rigoroso programma climatico. Gli obiettivi rimangono quelli fissati negli anni ’90, con un’enfasi su minori industrie, maggiori vincoli e illusioni di progresso. Gli ambientalisti, come quelli del Wwf, sostengono che il target del 90% di riduzione delle emissioni non sia sufficiente, mentre le fabbriche chiudono e i cittadini si trovano a fronteggiare bollette e costi del carburante sempre più elevati, frutto di regolamenti imposti da chi non ha mai lavorato in un contesto industriale.
Il Green Deal, concepito per salvaguardare il pianeta, rischia di compromettere la capacità produttiva dell’Europa. L’accordo raggiunto a Bruxelles rappresenta una riproposizione di misure già viste, che non affrontano le vere sfide economiche e ambientali. La Commissione continua a definirlo progresso, ma la realtà potrebbe rivelarsi ben diversa per le economie europee e i loro cittadini.
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Monica



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