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Garlasco, svelato un retroscena shock: Alberto Stasi condannato per un errore clamoroso



La genetista Denise Albani, perita nominata dal gip Daniela Garlaschelli nell’incidente probatorio del 2025, ha presentato risultati significativi che mettono in discussione le conclusioni di un precedente perito, Francesco De Stefano. Secondo la Albani, il DNA maschile trovato sotto le unghie della vittima, identificato come “Ignoto 1”, non era affatto degradato, contrariamente a quanto sostenuto da De Stefano nel 2014-2015. Quest’ultimo aveva fornito un contributo determinante alla condanna definitiva di Alberto Stasi.



Come riportato dal quotidiano Il Tempo, la perizia di Albani ha rivelato che il cromosoma Y di “Ignoto 1” coincide con quello di Andrea Sempio, un amico delle gemelle Poggi e già indagato nel periodo 2016-2017. La perizia di De Stefano, invece, aveva escluso l’utilizzabilità del DNA, affermando che fosse degradato. Secondo De Stefano, una replica effettuata su un campione molto più piccolo (meno di 2 microlitri rispetto ai 5 microlitri analizzati inizialmente) non aveva fornito risultati leggibili, portando a concludere che il DNA fosse in uno stato tale da non poter essere utilizzato in sede processuale.

Questa replica fallita, presentata da De Stefano come prova di degrado, ha avuto un impatto significativo sia sul processo di Stasi (Appello bis 2015) sia sull’archiviazione rapida di Sempio nel 2017. De Stefano rassicurò il procuratore Mario Venditti, oggi indagato per corruzione, affermando che le tracce subungueali non fossero utilizzabili. Tuttavia, Albani ha dimostrato che le due analisi non erano state condotte nelle stesse condizioni, sottolineando l’assenza di repliche valide da confrontare. Secondo la sua perizia, il DNA era perfettamente conservato e quindi confrontabile.

Questa scoperta ha sollevato interrogativi sull’operato di De Stefano, evidenziando una grave imperizia o, peggio, possibili negligenze nella sua analisi. La nuova evidenza smonta uno dei pilastri su cui si fondava la condanna di Stasi: in un processo indiziario, nessun giudice avrebbe mai condannato un imputato sulla base del DNA di un’altra persona trovato sotto le unghie della vittima.

Il caso, che ha attirato l’attenzione mediatica e l’interesse del pubblico, si inserisce in un contesto più ampio di interrogativi sulla giustizia e sull’affidabilità delle prove scientifiche in sede di processo. La questione del DNA come prova è cruciale in molti casi penali, e la sua validità può determinare l’esito di un processo. L’analisi di Albani potrebbe avere ripercussioni significative non solo sul caso specifico di Stasi, ma anche su altre indagini e processi in cui il DNA è stato utilizzato come prova chiave.



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