Titolo provocatorio? A prima vista, forse sì, perché generalmente chi è proprietario di casa (o più case) è sempre stato ritenuto uno che in fin dei conti non se la passa proprio male, vuoi perché la casa è sempre stata considerata l’ancora di salvezza del patrimonio di una famiglia, il tesoretto, vuoi perché l’importante – come viene tramandato da generazioni – in fin dei conti era avere un tetto sulla testa. Ma siamo sicuri che questa ricchezza sia davvero reale e produca del vero valore per chi la detiene?
Riepiloghiamo un paio di dati: negli ultimi 8 anni, secondo l’ISTAT, il valore delle case è calato mediamente di oltre il 15%, e se guardiamo il dato relativo alle vecchie abitazioni, questo è ancor più negativo, con valori scesi del 22,1%. Se prendiamo il rapporto annuale dei dati statistici notarili, a prima vista con 862.939 compravendite di beni immobili registrate nel 2017, con un aumento del 6,79% rispetto al 2016 si potrebbe parlare di ripresa del mercato, ma in questo studio il dato più interessante è il valore medio delle compravendite, che è passato da 148mila a 126mila euro. Altro dato: negli ultimi cinque anni il mercato delle aste immobiliari ha visto salire l’offerta (+23%) e le ricerche di immobili sono raddoppiate, ma le compravendite effettive sono rimaste al palo.
Ultimo aspetto, che fornisce un sentiment sul rischio paese: gli investitori esteri pur investendo 2 miliardi di euro nel primo semestre del 2018 (principalmente in uffici e in centri commerciali) hanno investito il 48,2% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Cosa significa tutto ciò in parole povere? Vediamo:
1. la crisi del mattone dopo 10 anni non è finita. O meglio: è questo il nuovo livello del mercato immobiliare italiano. Inutile fantasticare nella risalita (a breve), e in nuovi “affari”;
2. chi ha un immobile cerca di disfarsene – per volontà, o per necessità – per ottenere liquidità immediata;
3. se ho un immobile che non riesco a piazzare (ovvero è da mesi o anni, sul mercato), alla fine mi accontento – o sono costretto – ad accettare una cifra più bassa per monetizzare;
4. sì, ma se qualcuno vende, qualcuno acquista. Vero, ma su che valori? E se il 39,66 % dei compratori ha chiesto l’agevolazione prima casa, cosa ci dice questo dato combinato?
Traduzione: abbiamo sempre più case sul mercato, sempre più vecchie (quindi con tecnologie antisismiche non adeguate, e quindi insicure; e con tecniche di risparmio energetico non attuali, e questo significa che il mantenimento è assai costoso), che in definitiva valgono sempre meno. E questo gli investitori istituzionali esteri (quelli italiani come fondi pensioni e assicurazioni sono già robustamente esposti sul settore immobiliare) lo sanno. Non mancano immobili, mancano immobili appetibili.
E cosa fanno allora i nostri proprietari per difendersi?
O “svendono”, come in parte dicono già i dati appena riportati, oppure si orientano verso il mercato degli affitti, che a guardare i dati sta riscontrando un interesse sempre maggiore. Vuoi perché c’è comunque una forte domanda da parte di giovani, studenti e lavoratori immigrati che non hanno la possibilità di ottenere un finanziamento bancario, vuoi perché negli ultimi tre anni c’è stato un vero e proprio boom delle locazioni brevi (locazioni da un giorno ad un anno). Ma anche in questo caso, fin troppo spesso, sono più i furbetti che si inventano una fonte di reddito da un giorno all’altro arrecando un doppio danno – sia al fisco, e sia a chi opera legalmente nel settore – che coloro che operano professionalmente. Purtroppo è risaputo che in Italia ci sono 60 milioni di allenatori della Nazionale, che all’occorrenza diventano 60 milioni di medici, economisti, ingegneri strutturali, ecc… e quindi, ovviamente, esperti d’immobiliare, quando per lavorare nel pieno rispetto delle normative, e creare valore, occorre un bagaglio di competenze che non si improvvisa. Ma su questo fronte, dal Governo nessun segnale.
Il vero problema, in tutto ciò, nasce perché guardando i dati di Banca d’Italia, con la sua consueta indagine sui redditi delle famiglie italiane (aggiornato al 2016) rilasciata all’inizio di quest’anno, ci si accorge che a comporre il reddito delle famiglie italiane contribuiscono le abitazioni che sono per il 70% di proprietà: le attività reali (immobili, aziende, oggetti di valore) rappresentano l’87% del patrimonio lordo delle famiglie italiane rilevato nell’indagine. Secondo la valutazione delle famiglie, l’abitazione di residenza, valeva in media poco meno di 1.800 euro al metro quadrato, il 7 per cento in meno rispetto al valore del 2014 e il 23 per cento in meno rispetto a quello del 2006, un andamento complessivamente in linea con quello evidenziato dall’Indice dei prezzi delle abitazioni dell’Istat.
C’è solo un piccolo problema: questi 1.800 euro/mq sono una valutazione (ecco la parola chiave), non il prezzo finale di vendita, che come abbiamo visto, e come riportano i dati, è in costante inesorabile calo. C’è una differenza significativa: la percezione di essere “ricchi” perché si possiede casa, che vale ancora molto. Non è così.
E in tutto questo, venendo a queste settimane di tensioni, con l’ultimo declassamento da parte di Moody’s, e la parola patrimoniale non più così tabù, non ci sarebbe nemmeno troppo da stupirsi se al Governo si decidesse non di mettere direttamente le mani nelle tasche degli italiani, ma indirettamente sì. Ovvero aumentando l’imposizione fiscale su qualcosa difficilmente trasferibile all’estero. Indovinate cosa? Esatto, la casa di proprietà.
Quindi, ricapitolando: la ricchezza delle famiglie è allocata (per l’87%) in un’asset class che per propria natura è tra le più illiquide sul mercato, su valori ipotetici, non di mercato, mentre tassazione e imposte sono certe e reali, e possibili patrimoniali non sono oggi da escludere. Quello che è ritenuto un tesoretto, in realtà a guardarlo bene, tanto tesoretto non è.
Come si valuta un immobile
Esamineremo gli aspetti teorici e pratici della valutazione degli immobili, cercando di sintetizzare per i non addetti ai lavori le nozioni fondamentali.
1. Cosa è un bene immobile? Secondo l’articolo 812 del codice civile “sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni anche se unite al suolo a scopo transitorio e, in genere, tutto ciò che, naturalmente o artificialmente, è incorporato al suolo. Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione. Sono mobili tutti gli altri beni”.
2. Cosa è la stima immobiliare? I principi teorici dell’estimo si possono definire come l’insieme dei principi metodologici che consentono la formulazione della stima più realistica dei beni. La disciplina estimativa è materia di insegnamento universitario; la procedura estimativa parte dal sopralluogo e dalle informazioni raccolte, anche intervistando gli abitanti interni e vicini, e dall’attento esame delle caratteristiche fisiche dell’immobile, ma deve tenere conto di molti altri elementi e documenti. Il valore di stima può differire dal prezzo di mercato, come il valore delle azioni può essere diverso esaminando i bilanci o le quotazioni di Borsa.
3. Il processo di valutazione immobiliare Si definisce processo di valutazione immobiliare il processo logico e metodologico di stima, attraverso il quale, dalla identificazione del bisogno estimativo, si perviene al conseguimento dell’obiettivo finale, cioè, alla determinazione del valore attribuibile ad un bene immobiliare. Il processo di valutazione immobiliare inizia con l’identificazione del quesito di valutazione e termina con la consegna della relazione di stima al cliente. Nel processo di valutazione sono distinguibili tre macro-fasi: * fase preliminare: il valutatore identifica l’oggetto, lo scopo ed il momento della stima e identifica la categoria di valore da determinare. Da ultimo, ed in conseguenza degli elementi definiti in precedenza, si procede alla selezione del o dei criteri di valutazione da applicare. Il primo compito del valutatore consiste, cioè, nella chiara definizione del problema sottoposto alla sua attenzione dal cliente o committente e, dunque, nella identificazione precisa di tutti quegli elementi che originano il quesito di valutazione e ne consentono la risoluzione; * fase operativa: in tale fase si procede operativamente alla raccolta e analisi di dati ed informazioni rilevanti, all’applicazione dei criteri e delle tecniche di valutazione ed, infine, alla elaborazione dei risultati finali; * fase conclusiva: nell’ultima fase del processo valutativo si procede alla verifica conclusiva dei risultati ed alla stesura della relazione finale.
4.La prima fase del processo di valutazione E’ la fase fondamentale e consiste nella definizione del problema di valutazione in tutti i suoi aspetti salienti. Il raggiungimento dell’obiettivo della valutazione è certamente facilitato dalla chiara individuazione dei seguenti elementi: – oggetto della valutazione (cosa valutare?); – finalità della valutazione (perché valutare?); – quale categoria di valore stimare (quale valore stimare?); – a quale momento riferire la valutazione (quando valutare?); – quale approccio adottare nella valutazione (come valutare?). Le risposte a tali quesiti informano e semplificano l’azione del valutatore, poiché rendono di fatto più completa ed agevole la comprensione del problema di valutazione. La corretta corrispondenza tra finalità, oggetto, categoria di valore, momento di riferimento e approccio della valutazione è, inoltre, requisito imprescindibile affinché il valore stimato sia congruo, veritiero e difendibile. Uno dei momenti essenziali della fase di definizione del problema di valutazione è rappresentato dalla corretta individuazione del bene da stimare. La correttezza metodologica di un processo di valutazione e la congruità dei risultati cui esso consente di pervenire dipendono, infatti, dalla chiara individuazione dell’oggetto.
Prezzi delle abitazioni (dati provvisori)
La lieve flessione tendenziale dell’IPAB è da attribuire esclusivamente ai prezzi delle abitazioni esistenti, che registrano una variazione negativa pari a -0,7%, in attenuazione dal -1,0% del trimestre precedente. I prezzi delle abitazioni nuove, invece, accelerano su base tendenziale passando dal +1,0% del primo trimestre del 2018 al +1,6% del secondo trimestre del 2018.
Questi andamenti si manifestano in presenza della conferma di una fase di crescita dei volumi di compravendita (+5,6% l’incremento tendenziale registrato per il secondo trimestre del 2018 dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate per il settore residenziale).
Su base congiunturale l’aumento dell’IPAB è dovuto sia ai prezzi delle abitazioni nuove, che crescono dell’1,7% (annullando il calo dell’1,6% registrato nel trimestre precedente) sia a quelli delle abitazioni esistenti, che registrano un aumento dello 0,7% dopo la stabilità rilevata nel trimestre precedente.
In media, nel primo semestre del 2018, rispetto allo stesso periodo del 2017, i prezzi delle abitazioni diminuiscono dello 0,4%, sintesi di dinamiche di prezzo di segno opposto in quanto i prezzi delle abitazioni nuove, il cui peso sull’indice generale è poco più di un quinto, aumentano dell’1,3% mentre quelli delle abitazioni esistenti diminuiscono dello 0,9%.
Rispetto al livello medio del 2010, primo anno per il quale è disponibile la serie storica dell’IPAB, nel secondo trimestre 2018 i prezzi delle abitazioni sono diminuiti del 15,8%, calo dovuto esclusivamente alle abitazioni esistenti i cui prezzi sono diminuiti del 22,1% mentre per le abitazioni nuove si registra un lieve aumento (+0,8%).
Il tasso di variazione acquisito dell’IPAB per il 2018 risulta nullo.
A partire da questo comunicato sono diffusi gli indici IPAB per ripartizione geografica (Nord-Ovest; Nord-Est; Centro; Sud/Isole) e per tre grandi comuni (Torino, Milano e Roma). Per i dettagli si può fare riferimento all’approfondimento.
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