Rosa e Olindo tornano a sperare per la loro libertà



La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta di incidente probatorio sui reperti mai analizzati della strage di Erba, ma ha dato la possibilità di ricorrere alla formula dell’accertamento irripetibile. Possiamo dunque esaminarli! Purtroppo, prima della decisione della Cassazione, alcuni di questi reperti sono stati distrutti dalla cancelleria della Corte d’Assise di Como, ma ne rimangono altri presso il Ris e l’Università di Pavia. Avviseremo il pubblico ministero affinché possa nominare i suoi consulenti e poi procederemo”.



Così uno di legali dei coniugi Romano, Fabio Schembri, commenta la clamorosa decisione della Corte di Cassazione di concedere alla difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi, in carcere per la strage di Erba, di effettuare nuovi accertamenti sui reperti trovati sul luogo del delitto e mai analizzati. Gli avvocati, in realtà, speravano nell’incidente probatorio (uno strumento legale che permette di acquisire nuove prove in una fase precedente al processo) che è stato negato nuovamente, proprio come aveva già fatto la Corte d’Appello di Brescia.

La Cassazione, però, ha lasciato aperto un piccolo spiraglio per arrivare, come sognano i coniugi Romano, alla revisione del processo. Come abbiamo scritto tante volte, infatti, Rosa e Olindo si dichiarano innocenti e sostengono di non aver mai commesso quell’orribile massacro per cui sono stati condannati entrambi all’ergastolo. Affermano che le confessioni furono loro estorte dai carabinieri che li obbligarono ad ammettere quei delitti. Secondo i coniugi e i loro difensori, se venissero analizzate oggi, con le più moderne tecnologie, quelle prove scartate ai tempi perché ridotte in pessime condizioni o perché giudicate inutili, si troverebbe traccia dei veri assassini. Ma di che prove si tratta? Sono: 1) un accendino trovato nell’appartamento della strage insieme a 19 mozziconi di sigaretta, 2) una tenda alla quale una delle vittime si aggrappò durante l’aggressione fatale, 3) un mazzo di chiavi, 4) tre giubbotti e 5) alcune formazioni pilifere (peli e capelli) rinvenute sugli indumenti del piccolo.

Sono anni che la difesa dei due ergastolani, formata dagli avvocati Fabio Schembri, Luisa Bordeaux e Nico D’Ascola, cerca in tutti i modi di farle analizzare, invano. Evidentemente finora i magistrati hanno ritenuto che da quegli esami non venisse nulla di nuovo, ma adesso per togliersi ogni dubbio i supremi giudici hanno concesso questi nuovi accertamenti. In realtà, come ha spiegato l’avvocato Schembri, una parte di quei reperti è stata distrutta. Un fatto che ha davvero dell’incredibile! Lo scorso 18 luglio sono stati bruciati dall’Ufficio corpi di reato presso il Tribunale di Como. Non si è atteso che la Corte di Cassazione si pronunciasse in merito alla richiesta della difesa di Olindo e Rosa di farli esaminare. Il cancelliere capo in persona si è recato presso l’inceneritore di Como, come documentano le carte, e vi ha gettato dentro la tenda e i mozziconi. Per fortuna, il danno, seppur grave, è limitato. Come ha specificato ancora l’avvocato Schembri, ci sono altre prove custodite presso l’Università di Pavia e il Ris di Parma. Certo, viene da chiedersi il perché di tanta fretta nel distruggere reperti che giacevano lì da 12 anni, tanto più se c’era una vertenza in corso proprio per il loro esame. In realtà, il gesto del cancelliere capo non sarebbe anomalo, né celerebbe chissà quale giallo: il pubblico ministero già dal 2017 chiedeva la distruzione di quelle prove perché non rilevanti, danneggiate e a giudizio degli inquirenti assolutamente inutili.

Ora, però, proprio quei reperti trascurati potrebbero far riaprire il caso. Torniamo indietro all’ 11 dicembre del 2006 e ricostruiamo quell’a- troce massacro. Nella strage morirono Raffaella Castagna, 30 anni, suo figlio Youssef di due, sua mamma Paola Galli, di 60, e la vicina di casa Valeria Cherubini, di 55. Nella mattanza rimase gravemente ferito il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, che poi divenne il testimone principale contro Olindo e Rosa. Frigerio è morto nel 2014, a 73 anni, per una grave malattia. Stando alle sentenze di tre processi diversi, dal primo grado alla Corte di Cassazione, Rosa e Olindo uccisero Raffaella, sua mamma e il piccolo Youssef per banali litigi di vicinato. Si armarono di coltellacci e di una spranga e diedero sfogo ai loro propositi di vendetta. Erano esasperati dai rumori che provenivano dalla loro casa e anche dal marito di Raffaella, Azouz Marzouk, tunisino, che secondo loro era un poco di buono, che spacciava droga.



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