Trapianto di feci: per combatte batteri multi-resistenti e salva vite umane





Nel CD sono stati utilizzati due diversi strumenti di valutazione clinica: un questionario pre e post-FMT e il Crohn Disease Activity Index. Cinque degli studi inclusi hanno usato l’endoscopia per la valutazione della risposta mucosale: i pazienti affetti da UC sono stati sottoposti ad endoscopia digestiva subito dopo il trattamento (range da 1 a 90 giorni)  o più a lungo termine (da 1 a 198 mesi dopo il FMT)  27. I pazienti con CD sono stati valutati endoscopicamente 8 settimane dopo il FMT  31. In 3 dei 6 studi sulla UC che riportano dati sulla remissione clinica, la percentuale di pazienti che hanno raggiunto la remissione clinica varia dallo 0% al 68%  27,  29,  30. Il miglioramento clinico è stato segnalato nei 6 studi e varia tra il 20% e il 92%  27, 28. Nel CD, 4 pazienti trattati da Vermeire et al. 31 non hanno registrato un miglioramento clinico dopo FMT. Greenberget et al. hanno riportato una riduzione della frequenza delle riacutizzazioni della malattia nel 63% dei pazienti. Inoltre, 1 paziente su 2 con CD trattati ha riportato una diminuzione della frequenza di diarrea. Nei 4 pazienti con CD in cui è stata eseguita un’endoscopia 8 settimane dopo il trattamento, non è stata osservata nessuna guarigione endoscopica.

Sicurezza del FMT Gli eventi avversi associati a FMT sono stati per lo più auto-limitantesi e si sono verificati spesso poche ore dopo l’infusione. I sintomi intestinali riportati sono stati: gonfiore addominale, flatulenza, eruttazione crampi addominali. Si è trattato per lo più di sintomi IBS-like dopo la clearance delle CDI post-FMT, disturbi addominali, irregolarità dei movimenti intestinali e vomito. In 11 pazienti (tutti trattati per IBD, 3 per CD e 8 per UC) la febbre senza altri sintomi clinici o segni di sepsi è stata segnalata durante e fino a un giorno dopo il FMT 28-30, 31. Non sono stati identificati gli agenti causali di tali sintomi nelle emocolture eseguite ma è stato osservato un aumento della PCR in alcuni di questi pazienti. La febbre è scomparsa entro 3 giorni in tutti i pazienti. Un paziente adolescente è uscito dallo studio 29. Non è stata registrata nessuna trasmissione di malattie infettive dopo FMT.

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE DI RICERCA PER IL FUTURO I risultati esposti suggeriscono che il trapianto fecale è una terapia molto efficace nel trattamento delle CDI con tassi di risposta fino al 90% nella risoluzione della diarrea. Questo dato è stato confermato anche nell’unico studio randomizzato ad oggi disponibile che dimostra che le CDI si risolvono nell’81-94% dei casi dopo FMT. Tutti gli studi inclusi hanno riportato peraltro una efficacia di FMT > 50%, anche in pazienti immunocompromessi, gravemente malati e anziani, nei quali l’efficacia del trattamento di CDI con sola vancomicina non superava il 31% 33. Risultati analoghi sono stati ottenuti se l’infusione di materiale fecale veniva praticata nel tratto gastrointestinale superiore, nel colon o per ritenzione rettale tramite clistere.

 Gli studi disponibili sul FMT in UC hanno riportato tassi di remissione compresi tra lo 0% e il 68%. Il miglioramento clinico varia tra il 20% e il 92% ma è stato misurato utilizzando cinque diverse scale in sei studi. L’alto tasso di risposta del 92% riportata da Borody et al.  è un dato da considerarsi eccezionale, e lo studio eseguito è retrospettivo ed è soggetto a numerosi bias di selezione. Non è stato osservato nessun beneficio clinico di FMT in pazienti affetti da CD, sulla base dei dati ottenuti sui 6 pazienti riportati in letteratura. Risultati positivi sono stati ottenuti, invece, in una piccola serie di casi affetti da stipsi cronica (3 pazienti trattati) e in una serie di pazienti con IBS (risoluzione o miglioramento dei sintomi nel 70% di 13 pazienti). Il FMT non ha portato a remissione clinica 8 pouchiti croniche refrattarie, ma in 2 pazienti è stata osservata una modifica di sensibilità alla ciprofloxacina di batteri coliformi dopo trapianto. I FMT sono stati accompagnati da sintomi gastrointestinali lievi ed auto-limitanti nella maggior parte dei pazienti. Dati più robusti sul FMT saranno disponibili nei prossimi 2-3 anni.

 Attualmente sono in corso numerosi studi sull’argomento, di cui molti sono trial randomizzati controllati. Presso il nostro centro viene attualmente effettuato il FMT attraverso colonoscopia secondo un protocollo standard: abbiamo ottenuto dati estremamente incoraggianti nelle CDI, e il trapianto delle feci del donatore per via colonoscopica sembra ottimizzare la strategia di trapianto nei pazienti con colite pseudomembranosa. In conclusione, il FMT sembra essere molto efficace nelle CDI, e sembra essere una promettente terapia nella UC. Per quanto riguarda il CD, la stipsi cronica, la pouchite e l’IBS, i dati sono ancora troppo limitati per trarre conclusioni. Inoltre, il FMT viene attualmente eseguito secondo protocolli terapeutici non ancora standardizzati e, nonostante l’assenza di complicazioni infettive nei 1029 pazienti studiati, è necessario mantenere una vigile sorveglianza degli eventi avversi. Nuovi studi randomizzati controllati sull’efficacia a lungo termine del FMT, nonché la diffusione di dati traslazionali sull’impatto della modulazione del microbiota dei pazienti sottoposti ad infusioni di feci, sono ad oggi ancora necessari.

Gli articoli pubblicati in questo numero del DSI Forum affrontano, da diverse prospettive, il tema dei rapporti tra l’imponente flora microbica che colonizza il nostro intestino, cosiddetto microbioma intestinale, e le patologie indotte dal glutine, in primo luogo la celiachia: due “mondi” apparentemente lontani, che in realtà presentano insospettati punti di contatto. Un’occhiata su PubMed, il database medicoscientifico internazionale più completo, mostra che, a partire dai primi anni duemila, vi è stato un incremento esponenziale del numero di pubblicazioni sul microbioma intestinale: da 35 lavori nel 2004 a 1656 nel 2014! Solo nel 2014, ben 21 pubblicazioni hanno affrontato il tema dei rapporti tra il “mondo batterico” dell’intestino e la celiachia. Tale aumento dipende primariamente dallo sviluppo di nuove tecniche di genetica molecolare che consentono di analizzare la flora batterica intestinale in maniera semplice, rapida ed accurata. In tema di celiachia, uno degli interrogativi più attuali riguarda l’impressionante aumento della frequenza di questa patologia negli ultimi decenni, un fenomeno che non può essere imputato a cambiamenti genetici, i quali richiedono tempi ben più lunghi, ma solo a modificazioni ambientali. Figurano tra quest’ultimi i cambiamenti nella alimentazione, nello stile di vita, nella diffusione delle infezioni e, per l’appunto, nella popolazione batterica che risiede stabilmente nel nostro intestino. Come pediatra, trovo particolarmente interessante il potenziale rapporto tra alcuni fattori precoci, quali le modalità della nascita (spontanea o mediante taglio cesareo), l’alimentazione infantile, le infezioni intestinali e l’uso di antibiotici, il microbioma intestinale ed il rischio di sviluppare la celiachia. L’analisi di questi aspetti potrebbe aiutarci a comprendere meglio “la ricetta” del cocktail, genetico ed ambientale, che porta allo sviluppo delle patologie glutinedipendenti, non solo la celiachia ma anche la sensibilità al glutine non celiaca. Sul versante terapeutico, la comprensione delle modificazioni persistenti del microbioma, cosiddetta “disbiosi”, potrebbe favorire l’implementazione di nuovi presidi atti a migliorare la qualità della vita delle persone che soffrono dei disturbi indotti dal glutine.

In questo studio si evidenzia che una dieta bilanciata ricca di tutte le categorie di nutrienti dovrebbe servire a fornire un substrato alternato e sfavorire il proliferare di specie che potrebbero sortire effetti dannosi alla salute qualora prendessero il sopravvento nell’intestino. L’emergere di nuove evidenze scientifiche e il perfezionamento delle tecniche d’analisi hanno permesso di acquisire maggiori informazioni sui batteri che popolano il nostro intestino. È ormai lampante come il tipo e la quantità di batteri presenti nel nostro intestino giochi un ruolo determinante per la nostra salute. Le aziende biotech stanno investendo sempre più in tecnologie che individuano in questo “microbioma” un potenziale moderatore del nostro benessere intestinale e del nostro sistema immunitario innato. La crescente incidenza delle patologie immunomediate e dei disturbi neurologici non si lascia spiegare da mutazioni nella genetica umana. La disbiosi e la ridotta diversità batterica vengono comunemente ricondotte a queste patologie quando analizziamo il nostro “genoma alternativo” in cerca di risposte. Gli studi nel campo della metagenomica hanno permesso di appurare che una grande biodiversità batterica e la “ricchezza genetica” sono associate a un buono stato di salute.

Quali specie compongono il microbioma? Benché vi sia una grande varietà inter-individuale a livello di specie – nella maggior parte delle persone il microbiota intestinale è composto da circa 160 specie delle 1000 esistenti – non sono molti i phyla presenti nel microbioma. Qin et al. (2010) hanno identificato un nucleo di batteri comuni a tutte le persone. Lo studio del microbioma umano ha permesso di configurare tre principali enterotipi.2 I generi dei batteri usati come marker per stabilire a quale categoria appartiene il microbioma di un individuo sono Bacteroides, Prevotella e Ruminococcus (l’ultimo gruppo è associato anche alla presenza del Methanobrevibacter).

Funzione Ancora non è stata fatta piena luce sulle funzioni del microbiota intestinale, ma alcuni dei suoi tratti caratteristici sono: segnalazione immunitaria e modulazione della risposta immunitaria; produzione di messaggeri del sistema nervoso; produzione di vitamine essenziali, regolazione del metabolismo lipidico; produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA), in particolare butirrato, e acidi grassi a catena ramificata. A seconda del substrato fermentato, tra gli altri prodotti del microbioma figurano idrogeno, anidride carbonica e metano, ammoniaca, ammine e composti fenolici. La simbiosi tra l’organismo umano e il microbiota intestinale è sempre più evidente. Il termine “super-organismo” è stato coniato quando si è cominciato a considerare il nostro corpo come un organismo, un conglomerato del nostro trascrittoma sommato al tascrittoma plastico e molto più ampio del microbiota intestinale. Il corredo genetico dei batteri che popolano il tratto intestinale è 100 volte più grande del nostro. Pertanto non sorprende che l’attenzione nello studio delle cause, della prevenzione e della cura delle patologie sia ora rivolta a questo “genoma alternativo”. Il sistema nervoso enterico (SNE) è talvolta definito in letteratura come il “secondo cervello”. Ciò è dovuto al fatto che è composto da più di 200 milioni di neuroni.  Il SNE invia segnali dall’intestino al cervello mediante un sistema di segnalazioni endocrino, neuronale e immunitario. 5 Inoltre il tessuto linfoide associato all’intestino (GALT) che regolarmente seleziona e risponde ai segnali provenienti dal lume intestinale è considerato l’organo di difesa contro le infezioni più esteso del corpo umano. La combinazione delle interazioni tra lo SNE, il microbioma e il GALT mostra un grande potenziale per influire positivamente sul benessere fisico, immunologico ed emotivo. Il microbioma inizia a formarsi alla nascita. Il parto e la nutrizione del neonato influiscono sullo sviluppo iniziale del microbioma. Si ritiene che lo svezzamento e l’ambiente (rurale o urbano) in cui viene allevato il bambino influenzino il microbioma maturo. Studi condotti su comunità isolate dell’Africa hanno evidenziato la presenza di una colonizzazione batterica unica e diversa da quella riscontrata in un gruppo occidentale, a riprova di quanto l’ambiente rappresenti una grande spinta alla colonizzazione. Studi sui gemelli hanno rivelato che esiste una marcata influenza genetica sulla varietà delle specie, almeno nel caso di alcuni taxa. Anche i partner di gemelli monozigoti mostravano correlazioni positive, avvalorando l’ipotesi che la natura e l’alimentazione siano fattori importanti nel determinare la ricchezza genetica del microbiota intestinale.Negli anziani il microbioma cambia di nuovo, anche se non è chiaro il motivo per cui ciò accada. Nella popolazione anziana si osserva una riduzione nel numero di batteri che producono butirrato e una riduzione nella ricchezza genetica del microbioma. Gli anziani che vivono all’interno della comunità conservano una maggiore ricchezza genetica, presumibilmente il risultato di una dieta più varia, rispetto ad anziani internati in strutture di cura a lungo termine. La disbiosi è associata a numerose patologie.  Recentemente è stato pubblicato un elenco delle malattie e delle alterazioni nelle popolazioni batteriche a esse correlate.  Le nuove tecnologie hanno permesso di identificare una sorta di “impronta digitale batterica” legata a determinate patologie che potrebbe rivelarsi un potente e non invasivo strumento diagnostico permettendo lo sviluppo di una terapia specifica. Alcuni studi sull’obesità hanno mostrato che i soggetti caratterizzati da una ridotta ricchezza genetica presentavano una maggiore adiposità globale, insulino-resistenza e dislipidemia oltre a un fenotipo infiammatorio più marcato.  Una minore ricchezza genetica portava nel tempo a un aumento di peso. Goodrich et al. (2014) hanno dimostrato l’ereditarietà di un microbioma obesogenico e hanno ipotizzato una correlazione tra i batteri metanogeni appartenenti alla specie Christensenella e i disturbi metabolici. Studi su bambini che mostrano una predisposizione genetica alla malattia celiaca (CoD) evidenziano una carenza di Actinobacteria (inclusi Bifidobacteria) e una proliferazione di Firmicutes e Proteobacteria.  Va detto comunque che non è ancora stata provata in via definitiva l’esistenza di una correlazione immediata tra le alterazioni microbiche e l’insorgenza della patologia celiaca. Il sequenziamento del microbioma in persone affette da sindrome dell’intestino irritabile (IBS) ha rivelato una disbiosi. Ulteriori studi hanno messo in luce le differenze nei batteri che popolano il lume e le mucose intestinali in pazienti affetti da sottotipi di IBS. Un recente studio pilota sul microbioma in ambito pediatrico consiglia l’adozione della FODMAP, la dieta a basso contenuto di carboidrati, per alleviare i sintomi della malattia. Qin et al. (2012) hanno studiato le dinamiche antagonistiche tra batteri benefici e dannosi nel diabete di tipo 2. Una diminuzione dei batteri che producono butirrato sarebbe indice di un rischio elevato nello sviluppo di patologie correlate all’obesità.

Come possiamo migliorare il microbioma? Diversi studi sull’alimentazione dimostrano che cambiare dieta permette di alterare il microbioma, a riprova delle grandi potenzialità di questo ambito di ricerca. Nutrire l’ospite per nutrire il microbiota è la strategia di manipolazione più ovvia del microbiota. Una dieta ad alto contenuto proteico e lipidico è stata associata all’enterotipo Bacteroides, mentre una dieta ricca di carboidrati corrisponde all’enterotipo Prevotella. È stato dimostrato che cambiamenti a breve termine nella dieta (10 giorni) sono in grado di modificare la composizione del microbioma ma non alterano l’enterotipo. Una dieta ad alto contenuto di fibre induce una proliferazione di tre gruppi batterici solitamente associati a uno stato di buona salute, Faecalibaterium prausnitzii, Bifidobacterium e Clostridium cluster XIVa.1,  Altri studi sono concordi nel sancire l’utilità di prebiotici e probiotici nel favorire la diffusione dei benefici bifidobatteri e lactobacilli. Inoltre sono stati chiariti i meccanismi grazie ai quali specie diverse di Lactobacilli e Bifidobacteria non solo sortiscono effetti benefici sull’ospite, ma inibiscono la proliferazione e l’attività di enteropatogeni aggressivi (cfr.). Esiste l’eventualità che in futuro altri ceppi batterici (es. Akkermansia mucinophila e Christensenella minuta) saranno introdotti in prebiotici e probiotici. Il trapianto di microbiota fecale è un’altra tecnica che consente di operare una rapida correzione di un microbioma alterato. Studi clinici condotti su pazienti affetti da Clostridium difficile non trattabile hanno dato risultati incoraggianti. Il trapianto di microbiota fecale da donatori sani ha indotto un aumento nella resistenza all’insulina da parte di pazienti affetti da sindrome metabolica – fornendo un riscontro alla teoria secondo cui la disbiosi gioca un ruolo importante nello sviluppo dei disturbi legati all’obesità. Strategie antimicrobiche per la modulazione del microbioma potrebbero avere un potenziale terapeutico in futuro, anche se allo stadio attuale la ricerca ne ha testato l’efficacia solo sui topi. Al momento non se ne raccomanda l’attuazione. Una dieta varia e bilanciata ricca di tutte le categorie di nutrienti dovrebbe servire a fornire un substrato alternato e sfavorire il proliferare di specie che potrebbero sortire effetti dannosi alla salute se prendono il sopravvento nell’intestino. Alterazioni nel microbioma causate da antibiotici o da attacchi di gastroenterite rendono consigliabile l’impiego generico di prebiotici e probiotici senza temere l’insorgenza di effetti collaterali. La coprocultura, un esame utile a verificare una ridotta biodiversità batterica, può rivelarsi uno strumento diagnostico utile a effettuare una diagnosi precoce di alcune patologie permettendo di adottare misure preventive.

La crescente diffusione delle intolleranze alimentari, in particolare verso determinati carboidrati, rappresenta un problema di salute globale. L’intolleranza al glutine e alle sostanze associate al glutine come gli inibitori dell’amilasi/tripsina (ATI) è ritenuta responsabile 2 dei disturbi intestinali (es. meteorismo, dolori, costipazione, diarrea) ed extra-intestinali (es. affaticamento, emicrania, dolori articolari, irritazioni alla pelle) che affliggono i pazienti. Attualmente si ritiene che una delle cause delle intolleranze alimentari sia da ricercarsi nelle alterazioni della flora intestinale e nei loro effetti sulla tolleranza immunologica a livello della mucosa intestinale. Una barriera intestinale integra è fondamentale per mantenere l’omeostasi dell’intestino. Uno squilibrio intestinale che comprometta l’integrità della barriera ci espone al rischio di sviluppare una permeabilità intestinale (Leaky-Gut Syndrom). La correlazione tra la permeabilità della barriera intestinale e l’insorgenza di intolleranze alimentari e di patologie a carico dello stomaco e dell’intestino è ormai assodata. Il microbioma dell’apparato digerente influenza in maniera significativa il decorso di patologie associate al frumento e al glutine. È risaputo che il benessere della microflora intestinale è legato a molti fattori. La composizione microbica nell’intestino tenue è il risultato della competizione che si instaura tra i microorganismi e l’organismo ospite nell’assorbire e assimilare più rapidamente i carboidrati. I microrganismi del colon, invece, risentono del complesso procedimento di assimilazione dei carboidrati e della concorrenza reciproca. L’alimentazione è determinante. Sperimentazioni condotte sui topi hanno permesso di appurare che l’adozione di un particolare regime dietetico ha rapidi effetti sulla composizione microbica dell’intestino. Numerose pubblicazioni documentano la presenza di Streptococcus sp, E. coli, Clostridium sp, organismi ad alto contenuto di G+C, Bacteroides uniformis, Blautia glucerasea e bifidobatteri nell’intestino tenue e nell’intestino crasso, che prediligono substrati diversi. È interessante osservare a questo proposito che B.uniformis assimila principalmente l’inulina, mentre le altre specie metabolizzano soprattutto fruttoligosaccaridi e monosaccaridi. Quanto sia determinante la composizione microbica nella celiachia è dimostrato dal fatto che nei pazienti affetti da questa patologia si sviluppa una popolazione batterica diversa da quella dei soggetti sani. Nei pazienti celiaci è stata riscontrata una proliferazione di Bifidobacterium bifidum e di Lactobacillus sp.;

una differenza che si attenua nettamente con l’adozione di una dieta priva glutine.Più di una sperimentazione in vitro ha permesso di provare che alcuni ceppi di bifidobatteri sono in grado di attenuare la risposta immunitaria potenzialmente infiammatoria innescata dai peptidi della gliadina, esercitando così un effetto protettivo. Nel 2013 Wacklin et al. hanno ipotizzato una correlazione tra la manifestazione della celiachia sotto forma di sintomi gastrointestinali o extra-intestinali e il microbioma. Uno studio successivo ha confrontato il microbioma duodenale di un paziente affetto da celiachia che presentava sintomi persistenti pur avendo adottato da molto tempo una dieta priva di glutine con la mucosa dell’intestino tenue normalizzata di una persona affetta da celiachia asintomatica. La comparazione ha evidenziato una diversa colonizzazione batterica nell’intestino tenue dei pazienti con sintomi persistenti rispetto ai pazienti asintomatici. Vi erano elevati livelli di Proteobacteria, a fronte di un numero ridotto di Bacteroides e di Firmicutes. Nel complesso, i pazienti celiaci con sintomi persistenti mostravano una ridotta ricchezza microbica. In alcuni sottogruppi di celiachia si identifica la disbiosi come possibile origine della sintomatologia, aprendo la strada ad approcci terapeutici alternativi alla malattia che prevedano la somministrazione di probiotici e prebiotici. Smecuol et al. hanno studiato gli effetti del probiotico Bifidobacterium infantis Natren Life Start Super Strain sul decorso clinico di pazienti celiaci non trattati. dei 22 pazienti hanno assunto 2 capsule di B. infantis mentre a 10 pazienti sono state somministrate 2 capsule di placebo a stomaco pieno. Se il probiotico non sortiva alcun effetto sulla permeabilità intestinale, nel gruppo che ha assunto B. infantis si è assistito a un netto miglioramento dei sintomi tra cui dispepsia, stipsi e reflusso. Inoltre nel gruppo del probiotico si è verificato un significativo aumento di MIP-1ß (proteina infiammatoria macrofaga 1ß). Questo studio sembrerebbe suggerire un effetto attenuante del probiotico su alcuni sintomi della celiachia da confermare con ulteriori ricerche.

Uno studio attualmente in corso di Olivares et al. su pazienti che mostrano un’alta predisposizione genetica alla celiachia ha dimostrato la presenza di una composizione microbica alterata già in età neonatale e infantile, a riprova dell’insorgenza precoce di tali alterazioni. In confronto ai neonati non esposti a un elevato rischio di celiachia, nei portatori HLA-DQ2 positivi si è riscontrata la netta proliferazione di Firmicutes e Proteobacteria a fronte di una carenza di Actinobacteria. Anche i bifidobatteri erano rappresentati da un numero limitato di specie. Una predisposizione genetica nei soggetti HLA-DQ2 positivi parrebbe avere qualche effetto sul microbioma e portare all’insorgenza della patologia, una cognizione che potrebbe rivelarsi utile nello stabilire il rischio di celiachia. 16 Nel complesso questi dati dimostrano l’esistenza di una correlazione tra l’insorgenza e la sintomatologia delle patologie legate al glutine e il microbioma umano. È ancora tutto da verificare mediante ricerche approfondite se alcune specie batteriche siano attivamente coinvolte nella patogenesi della celiachia o della sensibilità al glutine (NCGS), oppure se si limitino a beneficiare di condizioni di vita particolarmente favorevoli conseguenti al danneggiamento della barriera intestinale. I primi dati di Biesiekierski et al. (2013) portano a supporre che anche nei pazienti allergici al frumento, i carboidrati in fermentazione inneschino o quantomeno influiscano sulla sintomatologia. Per questo motivo riteniamo che determinare la colonizzazione microbica sia estremamente utile al fine di comprendere eventuali differenze tra questi pazienti e i soggetti sani del gruppo di controllo. Nell’ambito di uno studio prospettico controllato stiamo analizzando le alterazioni della microflora intestinale in pazienti che mostrano un’allergia conclamata al frumento sottoponendoli a una dieta bilanciata, gluten-free e povera di carboidrati (FODMAP) per accertare gli effetti delle catene di carboidrati sulla proliferazione e sulla differenziazione batterica. Il confronto con un gruppo di controllo sano e una popolazione di controllo affetta da celiachia conclamata consentirà di comprendere quali ceppi batterici siano in grado di scatenare l’allergia al frumento. Riuscire a dimostrare l’esistenza di una composizione della flora intestinale specifica in pazienti allergici al frumento potrebbe aprire la strada a un approccio innovativo per una terapia probiotica mirata e priva di effetti collaterali. Lungi dall’essere un organismo vivente a sé stante, l’essere umano vive in simbiosi con miliardi di batteri e altri microorganismi. La densità massima di popolazione si verifica nel tratto intestinale dove si stima che vivano 100 miliardi (1014) di microrganismi che costituiscono nel loro insieme la flora intestinale, oggi meglio nota come microbiota intestinale. Il numero di cellule microbiche che albergano nell’intestino supera di 10 volte il numero delle cellule che compongono il corpo umano. I geni 150 volte più numerosi rispetto a quelli presenti nel corpo umano, consentono alle cellule dell’intestino di svolgere un’enorme attività metabolica. I metaboliti e i semiochimici risultanti sono strettamente correlati alle cellule del corpo umano all’interno e all’esterno del tratto gastrointestinale. Supportano le funzioni digestive, svolgono un ruolo importante nell’azione di difesa contro i microorganismi patogeni, stimolano il sistema immunitario e preservano la barriera intestinale. Quest’ultima rappresenta un sistema complesso che separa il lume intestinale dal resto del corpo e si articola nei seguenti elementi: Il microbiota intestinale è coinvolto nei processi metabolici e ha la facoltà di modulare la funzionalità della barriera. Un ulteriore meccanismo di difesa fondamentale per garantire il corretto funzionamento della barriera intestinale, oltre a un microbiota equilibrato, è la regolazione del transito paracellulare svolta dalle giunzioni occludenti. Negli ultimi anni l’impiego di metodi d’analisi basati sulla biologia molecolare ha permesso agli scienziati di compiere grandi progressi nella ricerca sul microbiota. I 1000 tipi di batteri presenti nell’intestino si lasciano ricondurre a sei diversi sottogruppi. Fino al 90% dei batteri intestinali appartengono ai gruppi dei Firmicutes e Bacteroidetes, seguiti dai gruppi Actinobacteria, Proteobacteria, Verrucomicrobia e Fusobacteria. La maggior parte dei microrganismi è presente in ogni intestino umano e costituisce il nucleo filogenetico del microbiota intestinale umano. Ogni essere umano dispone in aggiunta di un corredo variabile che va a comporre il microbiota individuale. La struttura e l’attività del microbiota sono influenzati dal tipo di parto (vaginale o cesareo), dai geni, dall’età e dallo stile di vita di un individuo. Giocano un ruolo determinante anche i farmaci (es. gli antibiotici) e l’alimentazione, in particolare la quantità e il tipo di fibre e generi alimentari assunti. Recenti studi dimostrano l’estrema importanza che la composizione del microbiota riveste per la nostra salute: i tipi di batteri possono avere effetti protettivi ma anche lesivi per il nostro benessere. Alcuni batteri patogeni, per esempio, hanno la facoltà di innescare processi infiammatori locali che indeboliscono la barriera intestinale e ne aumentano la permeabilità – anche nei confronti del glutine. Celiachia e microbiota È risaputo che allorché il glutine, a causa di una carenza di peptidasi nell’intestino umano, viene digerito solo in parte, i peptidi del glutine penetrano nella mucosa dell’intestino tenue. Inoltre vi sono indizi sempre più numerosi a riprova di quanto una mutata permeabilità intestinale causata da una perdita di coesione tra le giunzioni occludenti rappresenti un importante fattore nell’insorgenza della celiachia. Penetrando più facilmente nella lamina propria, gli oligopeptidi possono scatenare i processi infiammatori tipici della celiachia. Sino a oggi non è stato appurato se la lesione della barriera intestinale sia la causa primaria o una conseguenza della celiachia. È stato però dimostrato che nei malati di celiachia la gliadina stimola in massima parte il rilascio di zonulina. Questa proteina aumenta la permeabilità dell’intestino, favorendo l’assorbimento delle macromolecole attraverso le giunzioni occludenti. Molti indizi portano a supporre che le alterazioni del microbiota intestinale possano portare a un aumento nella permeabilità dell’intestino, e a una possibile insorgenza della celiachia e di patologie allergiche. Va detto che a oggi il numero degli studi dedicati al ruolo del microbiota nella patofisiologia della celiachia è piuttosto limitato. Si ipotizza che in pazienti che abbiano una predisposizione genetica i batteri gram-negativi siano coinvolti nell’insorgere di una intolleranza al glutine. Studi comparativi tra bambini affetti da celiachia e gruppi di controllo composti da soggetti sani sono riusciti a dimostrare per la prima volta una carenza di Le cellule microbiche presenti nell’intestino superano di 10 volte quelle che compongono il corpo umano Alterazioni del microbiota intestinale possono portare ad un aumento della permeabilità dell’intestino lattobacilli e bifidobatteri nei soggetti malati. Resta dubbio comunque se il microbiota alterato nei pazienti affetti da di celiachia sia causa o conseguenza della malattia. L’analisi di alcuni campioni bioptici del duodeno di bambini celiaci non sottoposti a cure ha riscontrato la presenza di un maggior numero di ceppi batterici gram-negativi rispetto ai soggetti sani dei gruppi di controllo, il che porterebbe a supporre che l’alterazione del microbiota sia piuttosto una conseguenza della malattia.

In genere ci si ricorda di avere un apparato digerente quando non si digerisce! O quando il medico suggerisce di riequilibrare la flora intestinale se un’infezione è curata con antibiotici. O quando, dopo pranzo, compare un senso di “gonfiore” che tarda a scomparire. Insomma, l’alimentazione e la buona digestione non sempre vanno di pari passo, soprattutto ai nostri giorni quando è in qualche modo avvenuta anche una globalizzazione delle suggestioni nutrizionistiche che sollecitano il nostro tubo digerente a tenersi sempre vigile e operativo per il bene del nostro organismo. Partiamo da queste banali considerazioni per riferirci ai grandi progressi che sono stati compiuti negli ultimi anni sulle conoscenze del rapporto che ha il nostro corpo con i microrganismi simbiontici che albergano nel tubo digerente: il microbiota. In termini biologici il microbiota umano rappresenta un esempio efficace di mutualismo, cioè di cooperazione fra diversi tipi di organismi che vivendo insieme traggono un beneficio reciproco. Nell’uomo i microrganismi presenti nel tubo digerente arrivano anche a circa 1000 specie differenti. Prevalgono i germi anaerobi, ma sono presenti anche virus e miceti (funghi). Il microbiota umano si forma già nei primi giorni di vita e persiste per lungo tempo, salvo la presenza di situazioni patologiche che possono alterarne la composizione. Questo aspetto è molto importante: alla nascita il tubo digerente del neonato è sostanzialmente sterile. I primi microrganismi con i quali viene a contatto sono quelli delle vie genitali e quelli provenienti dal tratto fecale della madre. L’allattamento, l’ambiente nel quale vive il neonato e il progressivo variare dei cibi che assume nel tempo rappresentano l’ulteriore contributo all’arricchimento del microbiota. L’allattamento materno è particolarmente importante e ben si comprende come i neonati che non vengono allattati avranno una colonizzazione di batteri prevalentemente ambientale. Vari studi hanno dimostrato che il microbiota del bambino allattato e venuto al mondo per vie naturali raggiunge una fase di equilibrio, di vera e propria stabilizzazione, dopo circa un mese dalla nascita, mentre nelle altre condizioni ci vuole più tempo, anche 6 – 7 mesi. L’intestino ha due compiti fondamentali: assorbimento e permeabilità (vari nutrienti, acqua, sali, etc.) e difesa (sia attraverso l’esclusione di microrganismi patogeni sia attraverso il contenimento di molecole tossiche). Durante la vita di un uomo centinaia di chili di proteine, batteri, virus, molecole tossiche attraversano il tubo digerente. Quindi il primo scenario di riferimento è il microbiota umano. Ma nel nostro intestino un ruolo fondamentale viene svolto dal sistema immunitario. Le barriere difensive comprendono l’integrità delle strutture epiteliali, una regolare motilità e peristalsi della parete intestinale, la secrezione di muco e la risposta immunitaria locale (GALT, Gut Associated Lymphoid Tissue). La struttura della mucosa intestinale è un esempio di specializzazione e adattamento evoluzionistico. Fenomeno che in qualche modo i più illuminati tra gli immunologi, circa trenta anni or sono avevano ben compreso, anche se allora non si avevano tecniche adeguate ma una conoscenza limitata della risposta immunitaria locale. Quindi si osserva il “combinato disposto” meccanico (struttura delle cellule e loro adesione) e chimico-cellulare (risposta immunitaria vera propria con intervento di anticorpi e di cellule immunocompetenti) che agisce limitando i danni apportati da potenziali germi patogeni. Questo è il secondo scenario. In questo contesto ecologico è attiva una realtà molto complessa, proprio sulla superficie della mucosa intestinale. Laddove il nostro organismo viene a contatto con il mondo esterno. Specie batteriche colonizzano l’ambiente, si adattano, vengono sorvegliate dalla risposta immunitaria e tollerate con un beneficio generalizzato. Negli ultimi due decenni, oltre alle indagini sulla risposta immunitaria, molta attenzione si è rivolta pertanto alla struttura del microbiota, alle sue funzioni, alle implicazioni in patologia e al potenziale impiego nelle possibili terapie. La superficie interna del tratto intestinale è rivestita da una mucosa formata da cellule epiteliali. L’epitelio intestinale è rivestito da un gel mucoso. In questo possiamo distinguere uno strato interno (gel idrosolubile a diretto contatto con le cellule dell’epitelio intestinale) e uno strato esterno (piuttosto denso, vischioso, sovrapposto a quello interno e ricco di un grande numero di batteri). Il microbiota è un vero ecosistema con un peso tra 1 e 2 chilogrammi. Il numero delle cellule è circa dieci volte il numero delle cellule che formano un individuo. Sembra tuttavia che sebbene l’ordine di grandezza della popolazione batterica sia 1012-1014, un numero di specie assestato attorno al valore di 500 sia necessario per garantire uno stato di salute all’ecosistema. Ogni frazione del tratto gastrointestinale viene colonizzata da un determinato tipo di microflora. Queste differenze dipendono dalle condizioni ambientali, dalle interazioni che si realizzano fra i vari elementi della comunità batterica, e da come la comunità microbica interagisce con l’organismo che la ospita. Basti pensare alle variazioni di pH, la presenza di enzimi proteolitici, la peristalsi, la concentrazione di sali biliari e la concentrazione dei nutrienti. Il colon è la sede dove maggiore è la concentrazione microbica [circa 1012 cellule/gr di contenuto intestinale). Grazie a particolari tecniche di genetica, oggi ben conosciute, è possibile risalire alle specie che convivono nel campione analizzato. Considerando il pool dei geni del nostro organismo e il genoma di tutti i microrganismi in esso residenti si può definire il corpo umano come uno speciale super-organismo [si definisce microbioma l’insieme del patrimonio genetico e delle interazioni ambientali della totalità dei microrganismi appartenenti a un ambiente definito]. Ne origina un assetto “funzionale” , quindi con le relative proprietà fisiologiche, sintesi derivante dal metabolismo microbico e dall’interazione con la specie umana. Pertanto, come è stato proposto, è ragionevole pensare il microbiota come una sorta di vero e proprio organo interno. In questa lettura si collocano con chiarezza le proprietà espresse dal microbiota medesimo, talune essenziali per compensare funzioni che noi non possiamo espletare. D’altro canto il microbiota è in grado di catalizzare varie reazioni chimiche e per sua stessa natura si rigenera nel corso del tempo.

Questa plasticità del microbiota assieme alla composizione della “microflora” dell’intestino è fondamentale per le funzioni dell’apparato digerente e per lo stato di salute in generale, sia considerando l’assetto propriamente metabolico sia quello strettamente correlato alla risposta immunitaria. Ma non tutti i nostri ospiti svolgono funzioni vantaggiose: alcuni possono sintetizzare e liberare anche sostanze tossiche o avere un’azione cancerogena. Un aspetto particolare, come sopra premesso, consiste nel ruolo difensivo della microflora batterica: il microbiota intestinale impedisce ai batteri patogeni di stabilizzarsi e quindi colonizzare l’intestino. Le modalità con le quali si realizza questo scudo funzionale sono tra loro ben integrate e vanno dalla maggiore velocità di transito del materiale intestinale alla stimolazione in situ del sistema immunitario, con una vera e propria lotta competitiva per l’assunzione dei nutrienti disponibili. Un aspetto fondamentale consiste poi nella produzione di sostanze tossiche nei confronti di una specie batterica diversa. Per esempio alcuni acidi grassi a catena corta sono in grado di inibire lo sviluppo di batteri aerobi facoltativi e possono bloccare lo sviluppo di salmonelle. Disbiosi Proprio in relazione all’importante ruolo svolto dal microbiota molte ricerche sono state effettuate sulle patologie conseguenti o correlate alla disbiosi intestinale, squilibrio microbico riferito alle superfici o all’interno del corpo, ma particolarmente rilevante per l’intestino. Diversi fattori sono in grado di indurre disbiosi (dieta non corretta, assunzione prolungata di antibiotici, eccessiva assunzione di alcol etc.). In corso di disbiosi si verifica un minore controllo della crescita reciproca dei batteri, con il prevalere di microrganismi “aggressivi” che danneggiano i componenti “vantaggiosi”. In buona sostanza quando si instaura una disbiosi, organismi di solito a bassa virulenza posso alterare lo stato della nutrizione (per esempio produzione eccessiva, non controllata, di prodotti tossici) o causare alterazioni nella risposta immunitaria. Clinicamente correlati a stati di disbiosi si osservano vari disturbi: digestione lenta con senso di gonfiore addominale, fenomeni infiammatori (gastro-enterocoliti), condizioni favorevoli per lo sviluppo di flora fungina. Non ultimo, il possibile rischio di favorire intolleranze alimentari. Fenomeni importanti di disbiosi possono essere correlati anche a sviluppo di neoplasie del tratto gastro-intestinale. Una considerazione importante emerge da questi dati e riguarda, per esempio, il concetto di impiego di antibiotici “ad ampio spettro”. Questo limite funzionale deriva dall’uso comune che viene prescritto nelle frequenti infezioni delle vie respiratorie. Ma poiché gli antibiotici rappresentano una causa di disbiosi è probabile che l’approccio all’ampio spettro venga in parte superato, considerando più razionale una molecola con “gut-specificity”. Un lavoro interessante (N Eng J Med 2014;25:2526-8) è stato pubblicato sul tema del rapporto tra microbiota, antibiotici e obesità (Microbiota, antibiotics and obesity di T. Jess). In questo paper un dato interessante emerge sul ruolo svolto dagli antibiotici in termini di risposta immunitaria e metabolismo; le conseguenze non sarebbero dirette ma secondarie a l’interazione tra antibiotici con il microbiota intestinale.



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