Vicenza: fa scendere uomo dall’auto e gli spara, poi fugge e si toglie la vita



Fa scendere un uomo dalla sua auto e spara contro di lui cinque colpi, uccidendolo. È stata una esecuzione in pieno giorno, a Trissino, in provincia di Vicenza, intorno alle 13.30. Il killer si è poi allontanato su una Mercedes classe “E” nera e si è tolto la vita, probabilmente con la stessa pistola usata per l’omicidio: il suo corpo è stato trovato accanto all’auto. La vittima è Enrico Faggion, 39 anni, del posto: si sarebbe dovuto sposare il prossimo 8 agosto con la compagna, con la quale viveva a San Martino Buon Albergo, in provincia di Verona.



Secondo una prima ricostruzione il killer, Giancarlo Rigon, 59 anni, avrebbe atteso che Faggion uscisse dalla casa della madre che era andato a trovare durante la pausa pranzo. Una volta salito sulla sua Ford ‘Ka’ la vittima ha fatto solo poca strada ed è stato bloccato dall’altro, a bordo di una Mercedes. I due uomini hanno avuto un violento diverbio, sul marciapiede, udito da diversi testimoni. Poi Rigon ha estratto una pistola ed ha fatto fuoco cinque volte, mirando alla testa della vittima. Tra le ipotesi, non si esclude che fra i due vi fosse un contrasto per motivi economici. Rigon era l’ex titolare di un laboratorio orafo, settore nel quale Faggion aveva lavorato per alcuni anni, prima di passare alle dipendenze di un’azienda di nastri trasportatori di Brogliano, un altro comune del Vicentino.

Nella vettura di Rigon è stato trovato un biglietto in cui l’uomo impartiva alcune disposizioni per la sua sepoltura, senza altri riferimenti.

La preoccupazione per la criminalità costituisce ormai da qualche anno uno dei temi principali nel discorso pubblico del nostro Paese. Per la verità il termine criminalità include un vasto insieme di eventi, alcuni simili, altri assai diversi tra di loro. La criminalità economica, ovvero i reati commessi nell’ambito di un’attività lavorativa legittima – come la corruzione, l’insider trading e così via – è molto diversa dalla criminalità violenta costituita da reati come omicidi e violenze sessuali; la cosiddetta criminalità predatoria – rivolta a ottenere vantaggi illeciti sottraendo beni e risorse ai legittimi proprietari come avviene nel caso dei furti e delle rapine – è diversa dalla violenza politica o dai reati riconducibili a mercati illegali, come quelli della prostituzione o della droga. Ma sempre più oggi è la criminalità comune, l’insieme degli omicidi, delle violenze, dei furti e delle rapine, a essere al Sud delle preoccupazioni dei cittadini, dell’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa e delle richieste di intervento rivolte alle istituzioni. Obiettivo di questo rapporto è fornire conoscenze solide e quanto più accurate possibile sull’andamento della criminalità nel nostro Paese, sulla sua distribuzione territoriale, sulle caratteristiche dei reati che vengono commessi, dei loro autori, delle vittime e delle relazioni tra entrambi.

Rispetto a fenomeni come il tasso di occupazione, di iscrizione alle scuole superiori oppure all’andamento dei prezzi o alla natalità, i dati che riguardano la criminalità richiedono maggiori cautele nell’interpretazione e nella lettura, e questo per diversi motivi. Innanzitutto, perché un reato sia contato nelle statistiche giudiziarie non basta che sia stato commesso; occorre anche che esso venga osservato da qualcuno, reso noto alle Forze di polizia o ad un organo del sistema penale, e infine correttamente registrato. Anche il ruolo delle Forze di polizia in questo delicato ingranaggio non può essere sempre uguale: in certi casi esso è decisivo, nel senso che la scoperta e, quindi, la registrazione del reato presuppone una specifica attività investigativa svolta su iniziativa delle Forze di polizia; in altri la registrazione avviene in seguito alla denuncia della vittima, a cui fanno però seguito attività investigative, oltre alla trasmissione della denuncia stessa agli organi giudicanti. I primi sono i cosiddetti reati senza vittima (ad esempio il gioco d’azzardo). I secondi sono i reati con una vittima individuale o con personalità giuridica (come una banca). Il numero dei reati registrati nelle statistiche ufficiali rappresenta, quindi, solo una parte di quelli effettivamente compiuti. Molti reati, infatti, pur essendo stati commessi, restano nascosti e non vengono registrati. La quota di reati nascosti sul totale di quelli commessi viene generalmente chiamata “numero oscuro”, e le proporzioni di questo numero oscuro variano a seconda del tipo di reato, soprattutto in funzione della sua gravità, e a seconda che tale reato sia solo tentato o consumato. Gli omicidi, per fare solo l’esempio più evidente, difficilmente sfuggono – specie quando consumati – alla rilevazione da parte delle Forze di polizia e della Magistratura.

Non è lo stesso per un reato come il furto, dove è forte la tendenza da parte della vittima a valutare costi e benefici per decidere se comunicare l’evento, cioè denunciare l’accaduto alle Forze di polizia. In altri casi (ad esempio nei reati a sfondo sessuale) sono invece fattori di tipo culturale o (come nell’usura) il particolare rapporto tra l’autore e la vittima a influire sulla decisione di denunciare o meno il reato subito. Nel caso delle violenze sessuali, ad esempio, sappiamo che queste sono denunciate in meno del 10% dei casi. Nonostante queste maggiori difficoltà di lettura, le statistiche penali possono offrire indicazioni non solo preziose ma anche sufficientemente attendibili sull’andamento della criminalità nel nostro Paese, tanto più attendibili, oggi, grazie soprattutto alle ricerche fatte negli ultimi anni proprio per cercare di stimare il numero oscuro di reati e tenere sotto controllo la fonte principale di incertezza nella loro determinazione quantitativa. In questo capitolo useremo anche queste stime per misurare le dimensioni della criminalità nel nostro Paese. Per quanto di non facile lettura, il dato statistico sulla criminalità può essere, dunque, interpretato – presumibilmente oggi più di ieri – in modo rigoroso e metodologicamente consapevole. È questa la premessa di metodo che sottende l’analisi generale dell’andamento della criminalità presentata in questo primo capitolo, che utilizza le informazioni statistiche più attendibili relative a omicidi tentati e consumati, furti e rapine, in un arco temporale quarantennale. La scelta di analizzare la criminalità con uno sguardo che potremmo definire almeno di medio periodo rimanda a una premessa metodologica della nostra analisi, per molti versi elementare e normalmente adottata nello studio di altri fenomeni sociali non congiunturali (come quelli demografici ad esempio) ma, in realtà,stranamente poco diffusa nella ricerca e nel dibattito sulla criminalità nel nostro Paese.

In questo campo, infatti, non solo nella stampa e in generale nei mezzi di comunicazione di massa, ma a volte anche tra gli esperti, è invalso discutere di cambiamenti tra un anno e un altro, e interpretare tali cambiamenti come segni della crescita o della diminuzione dei reati. La particolare struttura temporale della criminalità però rende del tutto sterile tale esercizio. I cambiamenti nella frequenza con cui avvengono i reati sono, infatti, tendenzialmente lenti e inoltre, trattandosi di eventi rari, spesso variazioni contingenti anche modeste nel numero di reati possono dare l’impressione di una crescita o di una diminuzione che invece risultano increspature di una tendenza non appena si estenda, anche di poco, l’arco temporale di riferimento. È proprio per ovviare agli effetti indesiderati di tale errore prospettico che alla base delle analisi che presentiamo da qui in avanti opera l’assunto secondo il quale, per capire gli andamenti in atto nella diffusione di comportamenti criminali e nella produzione di reati, è necessario osservare e, quindi, tenere sotto controllo lunghi periodi di tempo e non limitarsi a confronti su scala annuale o al massimo bio triennale. È solo nel lungo periodo – misurabile almeno in decenni – che si stabilizzano i trend sociali e si possono, dunque, apprezzare e misurare in modo metodologicamente consapevole linee di tendenza, oscillazioni, picchi e cadute. Nei paragrafi che seguono esamineremo dunque l’andamento dei reati in Italia negli ultimi quarant’anni così come registrati dalle due fonti statistiche ufficiali raccolte nel nostro Paese per questo tipo di fenomeni: la statistica prodotta dagli uffici giudiziari e riferita ai reati per i quali l’Autorità Giudiziaria ha iniziato l’azione penale e la statistica costituita dai reati denunciati alla Magistratura dalle Forze di polizia. Come vedremo subito, però, negli ultimi anni importanti innovazioni sono state introdotte nelle modalità con cui le Forze di polizia registrano e presentano i dati sui reati. Prima, quindi, di affrontare il cuore di questo capitolo, è necessario dare conto di tali innovazioni, comprendendo le quali sarà poi possibile interpretare correttamente le tendenze della criminalità che costituiscono l’oggetto specifico di questo capitolo.



Lascia un commento