Terence Hill, in una lunghissima carriera, da solo o con Bud Spencer, è stato soldato, cowboy, poliziotto, imbroglione..



Terence Hill è una di quelle persone che mettono d’accordo “ecumenicamente” tutti quanti. E il termine non è scelto a caso, visto che la seconda vita dell’attore veneziano (nasce Mario Girotti), americanizzato per diventare più intemazionale, è dovuta al personaggio del prete investigatore Don Matteo.
Il religioso che dal 2000 su Rai 1 indossa la tonaca come gli spolverini dei cowboy che interpretava con l’amico Bud Spencer, «e che inforca la bici come fosse un cavallo» (parole sue), sta per arrivare alla 12esima stagione. Che sarà, con grande dispiacere di milioni di fan, anche l’ultima. Le riprese



partono ad aprile come sempre in Umbria, tra Perugia e Spoleto (rumor anticipato da “Spy” in esclusiva: nel cast ci sarà anche Stefano De Martino). E come sempre la fiction farà un bagno ascolti, visto che fin dalla prima edizione nel 2000 è uno di quei pochi prodotti che mettono d’accordo tutta la famiglia davanti alla tv.

In attesa di rivederlo sullo schermo, il 29 marzo Terence festeggia 80 anni. Ottanta primavere vissute da un lato con l’energia di un ragazzo che ha sempre amato gli sport energici come sci e motocross e che anche per questo si divertiva come un matto a interpretare le memorabili scazzottate dei film con Bud Spencer… Dall’altro, con la pacatezza di un gentiluomo di campagna, quello che fuori scena legge romanzi classici o trattati di giardinaggio con la stessa serena dedizione con cui in tv sfoglia il breviario.

«C’è in me un po’ di tutti i personaggi che ho interpretato nella mia vita», riassumeva l’attore quando, qualche anno fa, l’enoime successo del prete- detective lo stava riportando a trascorrere sempre più tempo in Italia dopo oltre 30 anni negli Stati Uniti con i figli e la moglie Lori, conosciuta nel 1967 sul set di Dio perdona… io no (l’anno e il film che segnarono anche l’inizio del sodalizio con il grande Bud).

Tra i personaggi che hanno dato vita a qualche aspetto della sua personalità c’è senz’altro Trinità, il pistolero indolente e sornione inteipretato in due film nel 1970 e ’71. Con cavalli e pistole, a bordo di fuoristrada e moto, ma soprattutto menando sberloni a mani nude (pestaggi per i quali a Terence furono utili i tanti anni giovanili di pugilato e anche di ginnastica artistica: interpretava le scazzottate come coreografie di danza), il duo Spencer-Hill spopolò al cinema tra gli Anni 70 e 80. Tanto per dire, nel 1974 Altrimenti ci arrabbiamo
superò al botteghino nostrano l’americano La stangata: la coppia Bud Spencer-Terence Hill, peraltro famosa anche oltreoceano, era in grado di battere ai punti l’altra accoppiata di canaglie super glamour targate Hollywood, Paul Newman e Robert Redford.

Che cosa conquistava di loro? L’umorismo scanzonato, gli sganassoni sonori e abbondanti ma senza una goccia di sangue, la simpatica impertinenza mai volgare, fisico e caratteri complementari.
Se i 20 anni di risate e ceffoni con Spencer hanno realizzato il suo lato più energico, quello più tranquillo e meditativo, anticipato in ruoli compassati come quello del giovane conte Cavriaghi nel Gattopardo (anno 1963, quando ancora si chiamava Mario Girotti), si è realizzato soprattutto indossando l’abito talare. Prima, molto prima di diventare Don Matteo, Hill ha interpretato e diretto Don Camillo (1984) riportando in scena il popolare protagonista dei libri di Guareschi e di tanti film con Femandel e Gino Cervi.

Un altro personaggio rassicurante e adatto a un pubblico trasversale. Mai violenza, mai provocazioni, mai drammi in scena (uno, invece, lo ha purtroppo vissuto in privato: la morte in un incidente del suo secondo figlio, Ross, a soli 16 anni nel 1990).
Ecco, forse sta qui il segreto di Terence: in una miscela di garbo, sensibilità e brio, unite alla totale assenza di vezzi da star e a una prestanza fisica che a 80 anni è ancora quella di un ragazzo. Buon compleanno, allora, al cowboy, al prete, all’investigatore, all’attore, al regista, a Terence Hill e a Mario Girotti. Per noi sono uno solo, e uno di famiglia.



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