Achille Lauro, tutte le sue trasformazioni



Francesco Vicario Èstato affresco di Giotto. Poi esempio di mascolinità non tossica nelle vesti di Ziggy Stardust. Ha ridato vita alla prima performer vivente, Luisa Casati Stampa. E alla “sovrana vergine” Elisabetta I d’Inghilterra. Uno, nessuno, centomila: Achille Lauro e le sue esibizioni hanno toccato i vertici della ricerca estetica, roba che non si vedeva dai tempi delle frange lamé firmate Versace e indossate da una venusiana Patty Pravo nel 1984. Una continuità tra oggi e allora c’è: la forza propulsiva della moda.



Trentasei anni fa era quella artigianale di Gianni, rampantissimo designer che per vestire la Strambelli scompose quattro abiti da consegnare ad altrettante sciure milanesi, vanitose e miliardarie, che si offesero a morte. Oggi è quella multimudiale, multinazionale, socialmente trasversale di Gucci, nella versione Alessandro Michele, il couturier che ha traghettato il brand fiorentino dall’alta società più asettica allo street style più asfaltato.

Lauro ha dato vita a un progetto ambizioso, d’arte pura, di Nicolò Cerioni, che definire stylist è ormai riduttivo. Dress to impress, vestire per stupire, dicono gli anglofoni, motto interpretato a perfezione sul palco dell’Ariston sul quale Lauro ha portato Me ne frego, brano già suonatissimo in radio. L’artista ha dato inizio alla sua parabola festivaliera diventando un San Francesco scalzo tratto dalle scene rappresentate nella Basilica Superiore di Assisi: il momento clou della performace è stato il gesto di slacciarsi la cappa di velluto nero, ricamata a mano, con paillettes oro e argento, per rappresentare il mondo a cui il Santo ha scelto di rinunciare, rimanendo in body e shorts in strass nude.

Blasfemo secondo alcuni, coraggioso a esibire una guaina che poco lasciava all’immaginazione per i più, Lauro De Marinis (è il vero nome; il padre Nicola, 62 anni, è un magistrato della Corte di Cassazione, il nonno era prefetto) ha aperto la strada alle esagerazioni maschili. Si può certo dire che il bacio tra Tiziano Ferro e Fiorello, il simpatico scippo di Pelù – ha borseggiato una signora durante la sua esibizione – e la scenata di Morgan, che ha cambiato il testo della canzone in gara per provocare la squalifica sua e di Bugo, sono stati poca cosa rispetto alle vette di puro show di Achille.

Lauro ha esibito il doppiopetto nella serata dei duetti, in cui ha regalato una versione commovente, quasi sussurrata, di Gli uomini non cambiano, in coppia con Annalisa, che per converso ha stupito tutti con un’ugola potente e raffinata. Achille ha vestito i panni del Duca Bianco in versione Ziggy Stardust, una delle innumerevoli maschere di David Bowie, datata 1972, «anima ribelle, simbolo di assoluta libertà artistica espressiva e sessuale», ha spiegato Lauro. La riproduzione è fedele: il trapper è sceso dalla scala dell’Ariston in un look gender fluid studiato da Alessandro Michele, caratterizzato da completo di raso verde smeraldo, con dettagli personalizzati come l’etichetta sulla manica sinistra con il nome dell’artista ricamato.

Per l’occasione è stato eseguito anche un approfondito lavoro di hairstyling e make up: una parrucca realizzata appositamente per l’esibizione e un trucco firmato Simone Belli, ispirato al trend glam rock dell’epoca. Sensazionale e ricercatissimo il look della serata di venerdì. Lauro è diventato la marchesa Luisa Casati Stampa, vissuta tra ‘800 e ‘900, prima performer della storia, evidentemente uno dei riferimenti estetici non tanto del cantante quanto del suo stylist Cerioni, che infatti ha spiegato questa scelta evocando la Casati. “Ho lottato tanto per portarti su questo palco”, ha scritto sui social. “Le tue leggendarie performance erano per pochi eletti, oggi invece il tuo essere arte è per tutti.

La prima volta che incontrai Lauro, dopo cinque minuti, gli dissi che in lui vedevo una potenziale Casati, pieno di contraddizioni come è lui”. Figlia di un ricco mercante di cotoni, Luisa Amman sposò nel 1900 il marchese Camillo Casati Stampa del Soncino. Ma fu la relazione con Gabriele D’Annunzio e l’immersione nel mecenatismo che fecero di lei un’opera d’arte vivente. Ogni sua esternazione era un’esibizione, come le celebri passeggiate notturne in piazza San Marco, a Venezia, che affrontava nuda, coperta solo da un manto di pelliccia e due ali di servitori che ne illuminavano il passo e le pudenda a favore degli occhi morbosi dei passanti. «Ho rispettato la drammaticità del personaggio partendo da uno smokey eyes che ho sfumato con 12 toni diversi di ombretti, fino al mento», spiega ancora Belli. «E non abbiamo usato un pennello ma una spugna, come quelle che si utilizzano per la doccia».

Incredibile, poi, l’effetto di Lauro nei panni di Elisabetta I Tudor, la “regina vergine”, sposa del suo popolo, reso unico dall’intarsio di perle che incorniciavano il viso dell’interprete. Anche questo un lavoro straordinario di Belli. «Abbiamo cercato gemme di ben sette misure diverse, che avessero una bombatura molto alta per dare al viso l’effetto aristocratico che sognavamo. Prima le abbiamo fotografate, poi le abbiamo applicate sul viso e studiate e infine abbiamo fatto la posa definitiva sulla faccia di Lauro: ci sono volute quattro ore di lavoro, tanto mastice e una proporzione millimetrica per far sì che l’attenzione si focalizzasse sul centro del volto». Volto che è stato terreno fertile per il più imponente lavoro di stile che Sanremo abbia conosciuto dall’inizio del millennio.



Lascia un commento