Dieta, ecco la difficoltà di dimagrire



In Italia, quattro adulti su dieci sono in sovrappeso, vale a dire il 42% della popolazione: c’è bisogno di mettersi a dieta o, sarebbe più corretto affermare, di imparare a mangiare meno e meglio.



Nei paesi Occidentali, senza distinzione di età e sesso, la popolazione cede sempre più spesso alla tentazione di un’alimentazione ad alta densità calorica (grassi, specie animali, zuccheri a rapido assorbimento) e di abitudini sedentarie e, inevitabilmente, ingrassa.

Anche all’inverosimile, tanto che la prevalenza di obesità (ossia persone con indice di massa corporea superiore a 30) è pari al 30%. L’OMS definisce l’obesità come “una condizione cronica, ad eziologia multifattoriale, che richiede da parte del sistema sanitario e dei singoli individui, un impegno per tutta la vita al suo trattamento e alla sua gestione”. La ricerca e l’Organizzazione Mondiale della Sanità evidenziano in proposito che per un intervento efficace serve un approccio di lungo periodo, orientato al cambiamento dello stile alimentare e di vita. Per difendersi e superare questa sfida, sono quindi necessari strumenti e strategie ben più strutturate.

Perché l’obesità aumenta? Perché aumenta il cibo a disposizione e diminuisce il tempo che dedichiamo all’attività fisica. “Questi dati – spiega Giovanna Cecchetto, presidente ANdid (Associazione Nazionale dietisti) – sono sostenuti da un assunto fondamentale: la biologia del nostro corpo è geneticamente programmata per sopravvivere alla scarsità di cibo, mentre non è attrezzata per difendersi dall’eccesso di cibo.

È noto infatti, che diete eccessivamente severe e restrittive attivano meccanismi adattativi e di risparmio metabolico che si oppongono al calo ponderale e portano a riprendere rapidamente i chili persi, raggiungendo livelli di peso superiori a quelli di partenza”. Per prevenire e correggere l’aumento di peso è dunque necessario essere consapevoli che il nostro organismo è passivo di fronte all’iperalimentazione ed indifeso in un ambiente definito ‘obesogeno’, cioè sempre più caratterizzato da una grande disponibilità di cibo ad elevata densità energetica, facilmente accessibile anche sul piano economico, da ritmi di vita e contesti che inducono alla sedentarietà e riducono le occasioni per muoversi e spendere le proprie energie con l’attività fisica.

Il rischio Essere obesi non è solo un problema estetico e di conseguenza psicologico (anche se questi due aspetti non vanno assolutamente sottovalutati), ma prima di tutto di salute. L’obesità porta a disturbi seri come l’ipertensione e le dislipidemie, che aumentano il rischio cardiovascolare, al diabete di tipo 2, o al più recente “diabete uno e mezzo”. insomma, con i chili di troppo si vive male e anche meno.

Le diete miracolose Quando finalmente si acquisisce la consapevolezza che è arrivato il momento di dimagrire, ci si aspetta il miracolo: i chili di troppo accumulati anno dopo anno dovrebbero sparire in pochi giorni e senza fatica. E la richiesta di miracolo viene digitata sui motori di ricerca di internet, dove sono 76 milioni le trappole per chi vuole dimagrire: questo infatti il numero delle voci che si ottengono inserendo la parola “dieta”, e tutte alla fine propongono la perdita di pochi chili in pochi giorni, il frutto brucia-calorie, l’alimento toglifame e la pozione mangiagrasso.

E dato che il miracolo non avviene, la delusione è grande e spesso induce a trascurare ancora di più il controllo di peso. Solo il 30% dei delusi dalle diete miracolose, infatti, si rivolge alla fine ad un dietista per riuscire a perdere peso. “Non va neppure trascurato l’aspetto psicologico: il fallimento di un lavoro sul peso – sottolinea ancora Giovanna Cecchetto – porta con sé una posizione di rassegnazione passiva, accompagnata nelle situazioni più gravi a sensazioni di solitudine ed isolamento sociale, che spesso aggravano il problema peso e mantengono lontano il paziente da trattamenti adeguati”.

Perché la dieta non è un semplice elenco di piatti, quantità e calorie da consumare per un certo periodo. “Le varie diete – afferma Ambra Morelli, dietista, referente ANdid in Lombardia e consulente della nostra rivista – denominate nei modi più fantasiosi e disparati che, come le mode, hanno la durata di una stagione e vengono periodicamente proposte come la soluzione miracolosa, viste in quest’ottica dimostrano tutti i loro limiti. innanzitutto non tengono conto dell’individualità del caso (cause del problema, abitudini alimentari e di vita, fabbisogni nutrizionali, eventuali difficoltà e disponibilità al cambiamento, rapporto con il cibo, ecc.); non incidono sullo stile di vita e quando danno risultati lo fanno solo nel breve periodo; infine, in alcuni casi possono essere pericolose per la salute”. “Secondo l’antica definizione della medicina greca – spiega anche Silvana declich, dietista dell’Azienda ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze – la dieta è l’insieme complesso delle norme di vita (alimentazione, attività fisica, lavoro, riposo) atte a mantenere lo stato di salute. Una concezione ancora oggi molto valida, ma che purtroppo è stata sostituita dal concetto di ‘mettersi a dieta’, intendendo un programma dietetico da seguire per un periodo limitato di tempo e da interrompere una volta raggiunto il peso corporeo desiderato. Un corretto regime alimentare deve, invece, essere tale da poter essere mantenuto nel tempo, senza riacquistare il peso. Se l’obiettivo è perdere i chili di troppo è necessario seguire una dieta equilibrata, moderatamente ipocalorica e una volta consolidata la forma fisica, perseguire una corretta educazione all’alimentazione attraverso l’aiuto di dietisti esperti”.

La difficoltà di dimagrire Quella del cibo è una battaglia che richiede costante attenzione sia per evitare di ingrassare, ma anche per ridurre il peso e mantenerlo nel tempo. Per questo non solo è importante seguire una dieta, ma anche imparare e seguire i principi di un’alimentazione sana; questo sia dopo aver raggiunto il peso desiderato, sia per evitare di ingrassare di nuovo. “il dietista – conclude Ambra Morelli – si configura sempre di più per i propri pazienti/clienti, come un fondamentale riferimento a sostegno e guida (da qui il termine “personal nutrition trainer”) verso il raggiungimento ed il rafforzamento di capacità di gestione a lungo termine di una corretta alimentazione e verso il superamento delle molteplici difficoltà di applicazione nella pratica quotidiana delle indicazioni e raccomandazioni dietetiche”.

Il diabete di tipo 2 e l’adolescenza

La contemporanea presenza di obesità e familiarità, nonché di altri fattori come il sesso (quello femminile), fattori perinatali e puberali e l’appartenenza a gruppi etnici specifici sta comportando in alcuni bambini un aumento dell’insulino-resistenza; e quando il pancreas non riesce più a fornire la quantità sufficiente di insulina per contrastare questa insulino-resistenza, compare il diabete di tipo 2. Un primo segnale evidente dell’insulino-resistenza, è l’acanthosis nigricans (la pelle presenta delle zone iperpigmentate, quindi più scure, alla base del collo, sotto il seno e sulle ascelle): questo sintomo è il segno che i bambini obesi svilupperanno il diabete, perché la comparsa di acanthosis nigricans indica una superproduzione di insulina e quindi prima o poi il pancreas non ce la farà più a produrre tutta quella quantità di insulina, con la conseguente comparsa di diabete. Sarebbe importante quindi, come ci ha spiegato il professor Dario Iafusco, diabetologo pediatra della Seconda Università di Napoli, “che gli obesologi verificassero la presenza di acanthosis nigricans come indizio per capire subito se quei pazienti obesi svilupperanno diabete. In caso positivo, è importante far tornare questi pazienti al giusto peso per scongiurare la comparsa di diabete: dimagrendo infatti, produrranno meno insulina (e le macchie scure della acanthosis nigricans scompariranno lentamente)”. Inoltre, quello a cui devono prestare attenzione i diabetologi pediatri di fronte ad un bambino/giovane obeso con diabete di tipo 2 è di non fare una diagnosi errata di diabete di tipo 1, pensando appunto che si tratti di questo tipo di diabete, e quindi somministrare l’insulina senza aver prima fatto il dosaggio degli anticorpi (perché l’insulina potrebbe far ingrassare ancora di più). “Il rischio – sottolinea ancora Iafusco – c’è, perché se una volta i bambini appena diagnosticati per il diabete di tipo 1 erano magri, oggi, con l’aumento dell’obesità nella popolazione generale, anche i bambini con diabete di tipo 1 possono arrivare alla diagnosi in sovrappeso”. Altro segnale chiaro della predisposizione al diabete di tipo 2 da parte di un giovane obeso è la presenza di grasso nella circonferenza addominale: è questo tipo di grasso infatti, e non tanto l’obesità, a costituire un fattore di rischio per il diabete di tipo 2. Infatti, non appena un giovane obeso con diabete di tipo 2 con eccessivo grasso addominale dimagrisce, si ottiene la regressione del diabete. “Familiarità con diabete di tipo 2, acanthosis nigricans e circonferenza addominale sono quindi le chiavi per valutare la predisposizione al diabete di un bambino in sovrappeso od obeso”, conclude Iafusco.

È lo sbadiglio fuori orario il campanello d’allarme del consumato ‘peccato di gola’ e della pigrizia. Il 45% della popolazione (contro il 30% degli anni Novanta) non svolge attività fisica né pratica sport. Le Linee Guida raccomandano di compiere almeno 10 mila passi al giorno per mantenersi in forma e condurre uno stile di vita sano. Eppure il 44% degli italiani ne muove meno di 5.000 e solo l’8% si impegna a raggiungere le soglie raccomandate. Uno stile di vita sano, che aiuta a combattere anche l’obesità oltre che le patologie ad essa correlate, impone invece un comportamento attivo costante e permanente. Basti pensare che il semplice movimento porta a consumare all’incirca 350 calorie in più. Un vantaggio, certamente importante, per la salute.

Un problema che riguarda anche i bambini

Come negli Stati Uniti, anche in Italia sono quintuplicati i casi di obesità infantile, con il rischio di un’obesità di massa nel futuro. C’è da dire che non è omogenea su tutto il territorio nazionale. Tanto che si passa da una situazione come quella della Valle d’Aosta, che presenta una percentuale di bambini obesi o in sovrappeso del 23%, alla Campania, che ha tassi fino al 49%. Sono le cifre riportate dal decimo volume della collana “Quaderni del Ministero della Salute” dal titolo “Appropriatezza clinica, strutturale, tecnologica e operativa per la prevenzione, diagnosi e terapia dell’obesità e del diabete mellito”. E tra le ragioni di questo fenomeno il ministro rileva una scarsa attenzione alle politiche di prevenzione, insieme a programmi di attività fisica nelle scuole ancora inadeguati. “Nella fascia di popolazione compresa fra 6 e 15 anni – spiega Giovanna Cecchetto, presidente dell’ANDID – il 15% dei bambini/ragazzi molto attivi è sovrappeso, il 25% fra gli abbastanza attivi e ben il 45% fra i sedentari, con un aumento direttamente proporzionale alla crescita ponderale della tendenza a stare poco in piedi e molto seduti, a compiere movimenti lenti e a scegliere attività con poco dispendio di energie (stare al computer, guardare la TV, giocare con il palmare, oltre le normali ore di studio). E sempre più la salute arranca sotto il ‘peso che pesa’”. E pensare che intorno agli anni Settanta solo il 4% dei bambini era altamente sovrappeso, mentre secondo le ultime stime del 2007, il dato ha subìto una crescita esponenziale fino a raggiungere il 19%. Di questi, il 50% sarà obeso in età adulta.



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