Siamo arrivati alla fase finale del processo per il brutale delitto di Isabella Noventa. Il 18 novembre prossimo la Corte di Cassazione si esprimerà sulle condanne a 30 anni per i fratelli Deborah e Freddy Sorgato.
E proprio quest’ultimo continua, a mio avviso inutilmente, a cercare di cambiare le carte in tavola avanzando l’ennesima versione di quanto sarebbe accaduto tra il 15 e il 16 gennaio del 2016, quando di Isabella si sono perse le tracce.
Sorgato ora sostiene che Isabella non sia morta a casa sua, ma non credo che questa versione modificherà il suo destino giudiziario.
In tanti anni di attività sulla scena del crimine ho avuto modo di confrontarmi con sospettati – divenuti poi indagati, imputati e infine condannati – che hanno mostrato una serie di tratti personologici comuni, quasi fossero un macabro “marchio di fabbrica” dei manipolatori più pericolosi.
Quelli che hanno più probabilità di arrivare a esercitare sulle loro vittime la forma di controllo e di potere più assoluta e irrimediabile: l’omicidio.
Tra questi tratti, troviamo costantemente una sistematica propensione a mentire, a negare l’evidenza, ad attribuire agli altri la responsabilità delle proprie azioni. Per questo genere di soggetti è sempre colpa di qualcun altro, della vittima in particolare.
Uno dei soggetti che sembra appartenere a questa categoria di “bugiardi incalliti” è proprio Freddy. Pochi mesi fa aveva addirittura cercato di sostenere che Isabella, con la complicità del fratello Paolo, si sarebbe resa irreperibile con il preciso obiettivo di sottrargli tutti i suoi beni. Ma le varie versioni di Freddy non hanno mai convinto nessuno, tantomeno i giudici.