Alessandro Gassmann chi è? Età, Padre, Carriera, Biografia, Film, Moglie e Figli



Non odiare. Era il film di esordio di Mauro Mancini, in cui Alessandro Gassmann era il protagonista. L’attore interpretava un uomo lacerato, che doveva confrontarsi con la vendetta, il dolore e la Storia. Ma le due parole del titolo erano già una dichiarazione di intenti. Anche dietro la macchina da presa, Gassmann porta avanti un barlume di speranza.



E in Il silenzio grande, presentato a Venezia 78 alle Giornate degli autori, quel non odiare passa attraverso il dialogo. Il film nasce dallo spettacolo teatrale messo in scena al Festival di Napoli due anni fa proprio da Gassmann, che ora lo ha portato al cinema.

E il protagonista era, anche sul palcoscenico, Massimiliano Gallo. Siamo negli anni Sessanta, in una realtà borghese. Valerio è un intellettuale che forse non ha mai conosciuto davvero le persone a lui più vicine. La moglie decide di mettere in vendita la casa, i figli sono pronti a sconvolgere la quotidianità. Ma non tutto è come sembra. «In un tempo come quello che stiamo vivendo da due anni, sentivo la necessità di dare una carezza alle persone che fanno il cinema.

Far capire loro che qualcuno li ascolta. Ho chiesto allo scrittore Maurizio De Giovanni di parlare di sentimenti, del tempo che passa, aggiungendo quella vena di mistero che è sempre presente nei suoi racconti. Volevo che al centro ci fosse una famiglia fuori dal comune, un po’ come è stata la mia, rendendola umana e comprensibile a tutti», spiega Gassmann, che poi rivela: «Il mio riferimento politico in questo momento in Italia è papa Francesco.

Non mi era mai successo di essere così d’accordo con un Pontefice. È un Papa terreno, coraggioso, che vuole cambiare il sistema, si occupa della gente. E io seguo le sue parole, pur non essendo credente». Gassmann tornerà anche nella terza stagione di I bastardi di Pizzofalcone, in onda su Rai 1 dal 20 settembre. Come definirebbe la famiglia? «Un luogo in cui i figli devono parlare e trovare ascolto.

La storia è ambientata nel 1965, perché era un’epoca in cui ci si conosceva, si stava vicini, senza social o cellulari. Il tema centrale del film è proprio la mancanza di comunicazione. In famiglia bisogna essere presenti quando c’è bisogno. Quello del genitore è un mestiere faticoso.

Non possiamo essere “amici” in ambito famigliare, ma qualcosa di più forte e più prezioso. Sono molto severo con mio figlio. Io e mia moglie abbiamo posto delle regole, precise ma non dure che bisogna rispettare. La nostra responsabilità è di formare le creature che decidiamo di mettere al mondo, farle diventare persone responsabili.

Ed è quello che troppo spesso manca nella nostra società. È più semplice, più comodo regalare un telefonino a un dodicenne per farlo “perdere” dentro uno schermo, invece di occuparsi veramente di lui. Leo, mio figlio, ha avuto il suo primo smartphone a 16 anni».

Qual è l’insegnamento principale che sta cercando di trasmettergli? «Mio padre Vittorio ha sempre cercato di farmi capire quanto fossi fortunato. Sono in salute, ho una casa, un lavoro che mi piace, non ci sono guerre dove vivo. Però dobbiamo comunque conquistarci i traguardi della vita. Mi ha insegnato che, se posso scegliere tra due obiettivi, devo raggiungere quello più difficile, quello che mi fa faticare di più. Senza scorciatoie.

L’ho trasmesso anche a mio figlio, sono fiero di lui. Oltre a darsi da fare nella musica, è anche uno studente universitario con ottimi voti». Lei è anche impegnato con l’Unhcr (Alto commissariato della Nazioni Unite per i rifugiati). «Sì, da molti anni sono ambasciatore di buona volontà. Vogliamo sostenere chi dà vitto e alloggio a tutti i rifugiati sparsi in diversi continenti. Mi riempie di orgoglio. Abbiamo tanti progetti: entro il 2022 vorrei parlare di desertificazione girando l’Africa».

Qual è il suo pensiero su quello che sta accadendo in Afghanistan? «Provo orrore per i talebani, per il modo in cui applicano la religione. È un sistema barbarico, indifendibile, che umilia le donne, che uccide, che cancella la cultura di un popolo. In vent’anni non siamo riusciti a formare una democrazia che potesse funzionare e abbiamo dato il potere in mano alle persone meno adatte. Questo è stato un errore enorme. Non si può imporre la democrazia con le armi, bisogna farlo con il lavoro umanitario.

Non serve l’oppressione. Le istituzioni e i governanti dovrebbero prendere decisioni umane, già sarebbe sufficiente. Se ci sono donne e bambini, non importa da dove vengano o in che cosa credano: devono essere accolti. Servirebbe una politica europea più aperta, ci sono territori enormi a disposizione. Mi fa male la mancanza di attenzione verso l’essere umano, specialmente quando non si pensa alle tragedie che si consumano nei mari vicino alle nostre coste. La parola chiave è accoglienza, come è stato anche per noi quando eravamo in difficoltà. Tutti meritano un futuro».

Sabrina Knaflitz, chi è

Di lei sappiamo quindi che è nata nel 1976 ed è venuta esattamente alla luce il 25 novembre sotto il segno del Sagittario. Il suo cognome di certo non passa inosservato visto che è austriaco. Sembra essere il padre ad avere origini austriache. E’ comunque una donna molto riservata ed Infatti non ha alcun profilo Social e per questo motivo di lei non sappiamo tanto proprio da un punto di vista privato. Sappiamo però che ha studiato lettere e pare che fosse anche particolarmente brava a scuola. Ha dimostrato di avere anche una grande passione per il sapere e la poesia.

Figlio Leonardo Gassmann

Leonardo Gassman, conosciuto ai più con il nome di Leo Gassman, nasce a Roma il 22 Novembre del 1998. Suo padre, come abbiamo accennato, è il famoso attore Alessandro Gassmann, e sua madre è l’altrettanto famosa attrice Sabrina Knaflitz. Al contrario dei suoi genitori, però, Leo dimostra fin da subito uno spiccato talento musicale, che il ragazzo coltiva fin da bambino frequentando il conservatorio per studiare canto e chitarra.



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