Marcell Jacobs ammette “Non sono un padre presente con il mio primo figlio”



Ha trionfato alle Olimpiadi di Tokyo ed è diventato una vera e propria celebrità in questi ultimi mesi. Stiamo parlando di Marcell Jacobs ovvero il centometrista azzurro dei record. In questi giorni però di lui ne ha parlato la sua ex compagna Rebecca Erika la quale ha usato delle parole molto pesanti nei confronti dell’atleta. Nello specifico, la donna lo avrebbe accusato di essere un padre assente con il figlio Jeremy. Quest’ultimo sarebbe nato quando Jacobs, aveva soltanto 19 anni. Purtroppo oggi i loro rapporti sono del tutto inesistenti almeno secondo quanto riferito dalla mamma.



Marcell Jacobs, pesanti accuse dall’ex compagna

L’atleta sarebbe stato così accusato di non essere affatto presente con il figlio, che ha avuto quando aveva 19 anni. Nel corso di un’intervista rilasciata recentemente al Corriere Jacobs ammette che la sua ex effettivamente ha ragione. “Il mio bisnonno ha abbandonato il nonno, mio nonno mio padre, lui me: è una specie di tradizione di famiglia. Il primogenito deve sempre essere lasciato. Io dovrei spezzare il meccanismo, ma per ora non ci sono riuscito”. Il campione ha ammesso così le sue carenze nei riguardi del primogenito. “Jeremy mi è capitato: ero un ragazzo e l’ho vissuto malissimo, come chi sta facendo una cosa per altruismo, ma controvoglia. Non vorrei essere str*** come è stato mio padre, ma alla fine sostanzialmente sto facendo più o meno quello che ha fatto lui”.

Una festa. Di sport, di vita, di voglia di stare insieme. I detrattori di professione hanno potuto soltanto prendere atto che fare l’Olimpiade, addirittura imporla per certi versi, è stato un successo. La scelta migliore nel momento peggiore della storia recente dell’umanità. Un mondo chiuso, diviso dal Covid, si è ritrovato tutto insieme per più di due settimane. La meglio gioventù, ragazzi, atleti dei quattro angoli del pianeta hanno mischiato le loro culture, riso e pianto insieme. Non si poteva chiedere di più alla prima Olimpiade di un anno dispari della storia, il messaggio è arrivato in pieno, con tutta la sua potenza. Dalla cerimonia di apertura a quella di chiusura, in mezzo eventi e medaglie ogni giorno, dalla mattina alla sera, senza dimenticare la notte. Non fare i Giochi sarebbe stato un delitto. Farli ha dimostrato che – sia pure tra mille difficoltà – il mondo può andare avanti. La festa dello sport è stata anche la festa dell’Italia. Quaranta medaglie e undici minuti che sono già nella storia dello sport azzurro. Le due medaglie d’oro dell’atletica, con Tamberi nel salto in alto e subito dopo Jacobs nei 100 metri, sono state il punto più alto della nostra spedizione: una manciata di minuti in cui lo stadio olimpico di Tokyo è stato solo e soltanto nostro con la sensazione, straordinaria, che in quel breve lasso di tempo in cui tutto sembrava sospeso, avremmo potuto vincere qualsiasi tipo di competizione. L’Italia ha fatto il pieno nella disciplina regina, l’atletica, aggiungendo altri tre ori, compreso quello in volata della 4×100 con una incredibile ultima frazione di Filippo Tortu, uscito con il morale sotto i tacchi dalla gara individuale. Potenza della squadra. Ma la spedizione azzurra – 385 atleti – ha sbancato anche nel nuoto, con sette medaglie (compresa quella delle acque libere) e l’oro è mancato solo perché la mononucleosi ha fermato la marcia di avvicinamento ai Giochi di Gregorio Paltrinieri. È tornato “solo” con un argento (negli 800) e un bronzo (nella 10 chilometri) ma con la consapevolezza di aver regalato emozioni che valgono davvero come una medaglia d’oro. Perché alla fine conta questo: per più di due settimane questi ragazzi hanno conquistato il Paese, l’affetto del Paese. Che ha tifato per loro – complice il fuso orario giapponese – tra una fetta di anguria e una spaghettata.



Lascia un commento