Matteo Berrettini e Ajla Tomljanovic, la coppia più bella del tennis



La storia, invece, è già stata scritta. Porta la firma di Matteo Berrettini del Nuovo Salario, il quartiere di Roma dove l’uomo simbolo del tennis italiano è cresciuto. Come lui, nessuno mai. E stato, infatti, il primo finalista tricolore a Wimbledon, oscurando i fasti di Nicola Pietrangeli, che 61 anni fa si fermò in semifinale.



L’inchino al re Novak Djokovic, vittorioso sull’erba inglese per tre set a uno, è solo un antipasto di quello che sarà il suo futuro. Una sconfitta che fa crescere. Matteo non ha nulla da rimproverarsi, di fronte aveva uno dei più forti giocatori di sempre, se non il più forte. Ma il futuro è dalla sua parte.

Quando Djokovic, Rafael Nadal e Roger Federer – la santissima trinità del tennis – inizieranno a fare i conti con la carenza di stimoli, dopo aver alzato ogni trofeo disponibile sul pianeta, e con l’età che avanza, tornerà l’era degli uomini. E Matteo con i suoi 25 anni ha già dimostrato di essere pronto. Perché Berrettini, per cui nessuno ha mai scomodato il termine “fenomeno”, non ha l’aria della meteora.

Il suo è un talento costruito con il lavoro e il sacrificio. Non va e viene. Resta e cresce. Cinque tornei vinti dal 2018, più le seminali degli Us Open e la finale a Wimbledon, sono solo gli indizi di quello che potrà essere l’avvenire di questo corazziere alto un metro e 96, capace di sparare la prima palla di servizio a oltre 220 chilometri orari.

E pensare che da piccolo voleva fare judo. E stato il fratello minore Jacopo a lavorarlo a fianchi, facendolo cedere. Più per dovere che per reale convinzione, poiché racchette e palline erano già nella storia di famiglia. Papà Luca, infatti, insegnava a giocare nei villaggi vacanze. E a Brucoli, in Sicilia, ha conosciuto Claudia, la mamma di Matteo. Arrivano così i primi allenamenti al Circolo della Corte dei Conti a Roma e poi nel Circolo Canottieri Aniene, sotto l’egida di Vincenzo Santopadre, tuttora il suo coach.

Lo segue da quando aveva poco più di 13 anni. Con un’intuizione che farà la differenza: puntare sulla crescita mentale, non solo sulla tecnica. Arriva, così, Stefano Massari, che da nove anni è il mental coach di Matteo. È sua l’ultima telefonata che durante i tornei il tennista riceve ogni sera prima di dormire. Un lavoro che ha dato i suoi frutti. «Proprio nelle estreme difficoltà», sottolinea Massari, «Matteo dimostra il suo grande spessore perché non le vede come un limite, un ostacolo, ma ci si tuffa dentro, le vive e ne esce ogni volta più forte».

Staff competente ed esigente stretto intorno a lui, ma anche affetti sinceri che lo proteggono. Con i genitori in prima fila. Lo seguono senza invadenza, e soffrono. Vivono la tensione sulla pelle, ma questo è il prezzo da pagare con un figlio campione.

Il rimedio: mamma Claudia non lesina sorsate calmanti di gocce di fiori di Bach sugli spalti. Azione già diventata iconica: anche questo è amore. Cocco di nonna Lucia, dalle origini brasiliane, e tifoso della Fiorentina per via del nonno toscano, amante della lettura americana – Hemingway su tutti – del cinema di Tarantino ma anche dei maestri Kubrick, Leone e Sorrentino, nel tennis Matteo non ha guadagnato solo successi e applausi.

Nel circuito internazionale ha trovato anche l’amore. Da due anni, infatti, fa coppia fissa con Ajla Tomljanovic, classe 1993, natali croati, naturalizzata australiana, al momento nelle top cinquanta del mondo. Conquistarla è stata una sfida nella sfida: «In quel periodo ho dovuto lottare più fuori dal campo che dentro», ha rivelato Berrettini. Oggi però sono legatissimi. Si completano. Se lui è il dritto, lei è il rovescio. Sono la coppia più bella del circuito.

Hanno vissuto insieme il lockdown del 2020, in Florida, a Boca Raton, e si parlano in inglese. «Ma io sono scarso, fingo di capirla ma poi attacco a parlare in italiano. Lo uso soprattutto quando litighiamo», ha confidato Matteo Berrettini, «per questo Ajla sa tutte le parolacce». Ma non solo quelle: «Sto imparando la lingua perché mi piace, la trovo molto romantica», gli ha fatto eco lei. Una passione che, ovviamente, si estende anche alla cucina: «Adoro la cacio e pepe, oppure quella aglio, olio e peperoncino». E per lui, romano doc, prenderla per la gola non è affatto difficile.



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