Zlatan Ibrahimovic, I am Zlatan il film che racconta la sua vita, non solo calcistica



Se pensate che Zlatan Ibrahimovic da bambino sia stato molto diverso dall’uomo deciso e senza paura che è adesso, dal 10 settembre cambierete idea. Quel giorno a Stoccolma, infatti, andrà in scena la prima di I am Zlatan (Io sono Zlatan), che poi in Italia verrà distribuito da Lucky Red.



Insomma, mentre “Ibracada- bra”, come viene chiamato dai tifosi milanisti per le sue giocate magiche, continua a scrivere il suo presente di campione in campo alla faccia dei 40 anni che compirà il 3 ottobre, al cinema ci racconta la sua storia, non solo calcistica. Il film è ispirato all’autobiografia Io, Ibm (Rizzoli, 2011), la cui lettura è indispensabile per comprendere la personalità e l’immenso ego del calciatore svedese forgiati da una realtà familiare non certo idilliaca.

È stato lo stesso Zlatan ad anticipare, postandola sui social, un’anteprima di un minuto della pellicola. E uno dei primi dialoghi visibili dice tutto di lui. Ibra bambino muove i primi passi in una squadra giovanile, l’allenatore gli parla e a un tratto sbotta: «Mi ascolti?». Il piccolo Zlatan, fissandolo dritto negli occhi, risponde spavaldo al coach con tono di sfida: «Dobbiamo parlare o giocare?».

Diretto dal regista svedese Jens Sjogren, I am Zlatan segue di sei anni Becoming Zlatan, che però era un documentario e non un film recitato. Per vedere Ibra in veste di attore bisogna attendere l’uscita di Asterix e Obelix, film in cui reciterà il personaggio Antivirus. In I am Zlatan il suo ruolo se lo dividono invece due protagonisti: Dominic Bajraktari Andersson, che interpreta Zlatan tra gli 11 e i 13 anni di età, e Granit Rushiti, che lo fa più grande, dai 17 ai 23 anni.

Nel cast c’è anche un italiano: è Em- manuele Aita, già protagonista in Suburra – La Serie, che dà il suo volto a Mino Raiola, lo storico procuratore di Ibrahimovic. A fare da set al film sono stati i luoghi simbolo che hanno visto crescere la fama e la bravura del campione: da Malmò, in Svezia, dove iniziò a giocare ad alto livello, ad Amsterdam, in Olanda, dove militò nella squadra dell’Ajax, fino all’arrivo in Italia alla Juventus, in cui giocò dal 2004 al 2006 prima di passare allTnter (2006- 2009) e per due volte al Milan (2010-2012 e dal 2020 ad oggi).

Zlatan dimostra per l’ennesima volta di da avere coraggio vendere. I am Zlatan non è un film agiografico sul suo essere un giocatore che ha fatto e fa la storia del calcio. Agli spettatori e ai fan non viene risparmiata, difatti, la difficile realtà della famiglia Ibrahimovic. In una delle immagini postate in anteprima dal campione si vede per esempio una scena in cui Ibra bambino viene cacciato in malo modo da sua madre seduta al tavolo della cucina.

L’atmosfera che si respirava in casa è Zlatan a svelarla nel libro Io, Ibra: “Stavo fuori tutto il tempo a giocare a calcio e a pedalare su bici rubate e spesso tornavo a casa affamato come un lupo, spalancavo lo sportello del frigorifero e pensavo: «Ti prego, ti prego, fa’ che ci sia dentro qualcosa!». Ma no, niente. C’era una sofferenza in quei momenti che non dimenticherò mai”. E ancora scrive: “Correvo a casa da mamma, anche se non sempre venivo accolto a braccia aperte.

«Credi che i soldi crescano sugli alberi? Vuoi mangiarci anche la casa?»”. Chissà se nel film sarà ricordato un episodio che avrebbe potuto rendere diversa, e magari meno di successo, la carriera di Zlatan. Lo racconta sempre in Io, Ibra, l’autobiografia che fa appunto da riferimento per la pellicola: “Per un certo periodo giocai in porta, non so esattamente perché. Facile che fossi andato a dire al portiere titolare qualcosa del tipo: «Non vali niente, io so fare di meglio».

Ma durante una partita mi rifilarono un sacco di gol e allora diedi di matto”. Di sicuro non si è mai spaventato di fronte a nulla. Nel libro ricorda il giorno in cui doveva giocare una partita importante, però arrivò al campo quasi all’ultimo minuto e su una bici rubata: “Frenai bruscamente sulla ghiaia, coprii di polvere l’allenatore dalla testa ai piedi: era furioso. Ma mi lasciò giocare e mi sembra di ricordare che vincemmo”. Il coach ci aveva visto giusto, era destino che Ibra diventasse un grande del calcio. Adesso, anche noi potremo vedere con i nostri occhi come ha fatto ad esserlo davvero.



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