Chiara Gualzetti uccisa a 15 anni, la sentenza: il killer condannato a 16 anni e 4 mesi



Si è conclusa oggi la sentenza di condanna a sedici anni e quattro mesi per il giovane accusato di aver ucciso la quindicenne Chiara Gualzetti. La sentenza è stata emessa al termine di una lunga udienza presso il Tribunale per i minorenni del Pratello, durante la quale il pubblico ministero della Procura per i minorenni di Bologna aveva chiesto per l’imputato una pena di sedici mesi e sei anni di reclusione, il massimo possibile per un procedimento abbreviato.



Il Pm ha chiesto il massimo della pena possibile”, dice Giovanni Annunziata, legale della famiglia Gualzetti. “L’ho ringraziato per la precisione e la responsabilità con cui ha svolto il suo ruolo in questa vicenda”.

“Ormai siamo arrivati ad un punto fermo della situazione e in base a quello che è l’ordinamento ci dobbiamo ritenere soddisfatti di questa sentenza. È chiaro comunque che Chiara non c’è più, fondamentalmente avremmo voluto di più, però, ripeto, forse può essere una sentenza esemplare. Giustizia è altro, ma possiamo dire è stata fatta giustizia”, ha commentato Vincenzo Gualzetti, il padre di Chiara.

Il sostituto procuratore Simone Purgato aveva chiesto una condanna a 16 anni e mesi per il giovane accusato dell’omicidio aggravato di Chiara Gualzetti, uccisa pochi giorni prima del suo 16° compleanno, il 27 giugno 2021. La ragazza fu uccisa da un amico coetaneo che quel giorno andò a prenderla a casa per andare insieme al Parco dell’Abbazia di Monteveglio. Una volta lì, ha e ferito mortalmente la ragazza con un coltello, poi l’ha presa a calci e pugni fino alla morte. Fermato da alcune testimonianze, ha subito confessato la sua responsabilità, dicendo di aver agito sotto l’impulso di un “demone”.

La condanna per l’omicidio di Chiara Gualzetti è arrivata dopo la denuncia del padre e l’apertura da parte della Procura dei minori di Bologna di un fascicolo per post e immagini sui social media riferiti alla figlia. Vincenzo Gualzetti ha anche ricevuto delle foto dell’imputato scattate in carcere che lo ritraevano in una posizione compromettente con un altro detenuto.



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