Maria Chiara Giannetta è stata una tra le prime a chiamare Raoul Bova nel cast di Don Matteo 13



Maria Chiara Giannetta è stata una tra le prime a chiamare Raoul Bova quando è apparsa la notizia che lui sarebbe entrato nel cast di Don Matteo 13, dopo l’uscita di scena del pilastro Terence Hill. Erano già stati marito e moglie nella serie Buongiorno, mamma! e ritrovarsi a Spoleto per le riprese della fiction dei record rappresentava la nuova, stimolante sfida che si trovavano ad affrontare insieme. Erano mesi fa, ora sono in onda e già hanno conquistato tutti.



Maria Chiara, ricordi che cosa gli hai detto? «Certo! Raoul è un grande professionista, uno che, come me, per dare il meglio ha bisogno di lavorare in un gruppo armonico. E il team di questa fiction lo è tantissimo. È la mia terza volta con loro, per questo mi sono sentita di rassicurarlo, di dirgli che si sarebbe trovato a suo agio, sarebbe stato accolto da tutti con affetto, e poi fuori dal set siamo un bel gruppo di caciaroni. E così è stato.

Raoul è un uomo che entra in punta di piedi nelle situazioni, uno che non si impone mai. Doveva raccogliere il testimone di Terence. L’ha fatto nel migliore dei modi: non avevo dubbi». Raoul, tu sei don Massimo. Ti agitava raccogliere l’eredità di Terence? «Specifico subito: per me non è mai stata una sostituzione, io volevo calarmi nei panni di un altro personaggio che non fosse in competizione con don Matteo. Inoltre, per me era fondamentale avere l’approvazione di Terence.

Volevo guardarlo negli occhi, capire attraverso le sue parole, i suoi sguardi, i suoi gesti, che c’era un’accettazione». Poi è andata così? «Terence mi ha accolto con un abbraccio, per me è stato un momento molto importante. Guardandomi dritto negli occhi mi ha detto: “Trova la tua strada, trova il tuo nome, prosegui quello che ho fatto io fino adesso”. Poi ha aggiunto: “Non sarà facile, ma tu non ti scoraggiare”.

Il rapporto tra don Matteo e don Massimo comunque rimane. Si telefonano e si scrivono anche passaggi molto toccanti, messaggi che fanno pensare». Torniamo a Maria Chiara: tu vesti i panni di Anna, capitana dei carabinieri. Ti ritrovi con l’approccio militare nella tua vita privata? «Nel lavoro molto: sono categorica, precisa, puntuale, attenta alle regole. Nella dimensione personale lo sono stata parecchio, ma ora sto cercando di esserlo un po’ meno, di smussare le rigidità, di non programmare tutto, di essere più sciolta».

Da dove deriva tanto rigore? «Sono la prima di quattro figli. Probabilmente sono cresciuta in fretta e i miei genitori ci hanno responsabilizzato molto. Ho imparato da subito a gestire i compiti, a organizzarmi per la scuola, ad avere un forte senso di disciplina. A studiare. Tanto. Ero una secchiona, un pochino lo sono rimasta». In che senso? «Trovo il modo di studiare sempre, anche se sono in vacanza. È difficile che io stacchi davvero dal lavoro».

La vita di coppia non ne risente? «Sono single, arriverà anche il tempo per l’amore. In questo momento lavoro tantissimo, sono coinvolta a 360 gradi». Se tu non avessi fatto l’attrice cosa avresti scelto di fare? «Se non fossi riuscita a entrare al Centro sperimentale di cinematografia, penso sarei andata a Perugia a studiare Criminologia. Sono sempre stata attratta dalla mente umana, dai risvolti della personalità. Se ci pensi, anche fare l’attrice ti permette di entrare nelle dinamiche e nelle viscere di un personaggio.

E comunque, sin da bambina avevo un mito: l’immensa Monica Vitti». Raoul, e tu da bambino già sognavi di fare l’attore? «L’astronauta è stato il primo pensiero. Poi mi sarebbe piaciuto pilotare gli aerei. Crescendo mi sono appassionato al nuoto, ho capito l’importanza dell’allenatore che sa trasferirti forza fisica e mentale, così volevo studiare per fare il coach. Il nuoto era la mia passione, poi la recitazione ha preso il sopravvento».

Hai 50 anni, se ti guardi allo specchio che uomo vedi? «Un uomo che sente la responsabilità di preparare un futuro per i propri figli, di salvaguardare il mondo e di dare un contributo anche attraverso il lavoro. Non è più il tempo del ragazzo che deve conquistare per affermarsi, ora è la coscienza che parla e la mia mi porta ad avere rispetto per l’ambiente che vorrei pulito, intatto nella sua bellezza. Il mio impegno è per la riduzione di anidride carbonica nell’atmosfera e nella mobilità». E fisicamente, come ti vedi? «Mi vedo un po’ meno (ride, ndr). Mi piaccio in modo diverso rispetto a una volta. Prima era più facile praticare sport, stare in forma.

Adesso capita che non mi entrino più i vestiti, oppure che siano troppo larghi. Detto ciò, credo che crescendo il fascino lasci emergere di più la parte umana, quella interiore, che illumina e distrae un po’ dal solo aspetto esteriore». Raoul, anche se sembri un eterno giovanotto, hai quattro figli: Alessandro e Francesco, di 22 e 20 anni, e le piccole Luna e Alma, di 6 e 3. È cambiato il tuo modo di essere padre? «Prima sei più giovane, ci sono altri ritmi, commetti involontariamente errori che cerchi di non replicare quando diventi più grande. Sono quattro, hanno caratteri diversissimi tra loro: sto imparando ad approcciarli valorizzando ognuno, la propria unicità, stando in ascolto ed entrando in contatto con le loro esigenze».

Prova a descriverli… «Alessandro è un romantico sognatore, Francesco è un’esplosione di vita, Luna è del Sagittario, ha quel senso di dolcezza, di famiglia, di ricerca di protezione. Alma è vivace come un campo di fiori, è una che ride, che scherza, è il clown della famiglia e riesce sempre a strapparti un sorriso anche nei momenti più bui». Sei riservatissimo, ma ti va di raccontare qualcosa della tua compagna Rocío Muñoz Morales? «È la compagna ideale, è la mamma delle mie figlie, ed è eccezionale. Noi condividiamo tutto, ci ascoltiamo moltissimo: sia quando parliamo, sia nei silenzi e nel rispetto della ricerca dei nostri momenti di solitudine.

A volte siamo così complici che ci capiamo con uno sguardo». Attore amatissimo, uomo e padre appagato: qual è il sentimento che ti accompagna più spesso? «Un senso di gratitudine che non smetterò mai di avere. Per le possibilità che ho avuto, per le persone che mi vogliono bene. A volte mi sento così fortunato che avverto forte il bisogno di restituire la generosità che la vita mi ha riservato. Ecco allora il mio impegno nelle azioni umanitarie, come con la Croce Rossa, per esempio, per offrire un servizio a chi è in difficoltà. Non serve molto per aiutare le persone, serve esserci. E io ci sono».



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