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Accusato di abusi sulla nipotina, si toglie la vita prima della sentenza: aveva 52 anni



Un drammatico episodio ha sconvolto il corso di un procedimento giudiziario presso il tribunale di Udine, dove un uomo di 52 anni era sotto processo con l’accusa di abusi sessuali sulla nipote di 9 anni, figlia di sua sorella. Il prossimo 11 settembre era prevista la fase di discussione tra le parti davanti al giudice Daniele Faleschini Barnaba, ma l’imputato ha deciso di togliersi la vita, interrompendo definitivamente l’iter giudiziario.



Con il suicidio dell’uomo, il tribunale procederà nelle prossime settimane alla formalizzazione del non luogo a procedere per l’estinzione del reato. L’avvocato Riccardo Prisciano, legale della vittima, ha espresso profonda amarezza per l’impossibilità di arrivare a una sentenza che avrebbe potuto sancire una “verità processuale” e garantire giustizia alla giovane assistita.

“Non abbiamo fatto in tempo a raggiungere una verità processuale e quindi a ottenere giustizia,” ha dichiarato il legale a Fanpage.it.

Secondo quanto ricostruito dall’accusa, gli episodi di abuso sarebbero avvenuti tra il 2009 e il 2010, durante incontri familiari e pranzi in casa. L’uomo avrebbe approfittato della bambina in almeno trenta occasioni. A distanza di dieci anni da quei fatti, quando la vittima era ormai maggiorenne, lo zio avrebbe nuovamente abusato di lei. Fu proprio in quel momento che la ragazza trovò il coraggio di denunciare quanto subito, portando alla luce anche gli abusi passati.

Il procedimento aveva già visto momenti particolarmente intensi, tra cui un incidente probatorio durante il quale la vittima fu ascoltata in un ambiente protetto con il supporto di una psicologa. Nel corso delle udienze, inoltre, un’altra sorella dell’imputato fu chiamata a testimoniare per la difesa. Inaspettatamente, la donna rivelò in aula di essere stata anch’essa vittima di abusi da parte del fratello quando aveva solo 9 anni, la stessa età della nipote.

“Avevo avuto notizie a riguardo ma non pensavo lo avrebbe detto in aula. Nessuno se lo aspettava, nemmeno i giudici,” ha ricordato ancora Prisciano.

La morte dell’imputato ha determinato l’estinzione del reato, chiudendo definitivamente il caso penale. Tuttavia, il legale della vittima ha sottolineato la possibilità di utilizzare gli atti emersi durante il processo per avanzare una richiesta di risarcimento danni in sede civile.

“Potremmo utilizzare gli atti emersi nel penale per chiedere il risarcimento del danno, ma l’imputato viveva una situazione sociale complicata,” ha spiegato l’avvocato.

In Italia, esiste un fondo statale dedicato alle vittime di reati violenti, tra cui la violenza sessuale. Questo fondo potrebbe rappresentare un’opzione per ottenere un risarcimento economico per la giovane assistita. Tuttavia, come evidenziato da Prisciano, l’accesso al fondo è subordinato a una condanna penale dell’imputato, che in questo caso non potrà mai essere pronunciata.

“In astratto, anche se l’imputato non aveva le possibilità economiche per risarcire il danno, lo Stato prevede un fondo per le vittime di reati violenti, tra cui anche la violenza sessuale. In caso di condanna, la mia assistita avrebbe potuto eventualmente accedere a questo fondo. Ma senza una condanna…” ha concluso l’avvocato.

L’episodio solleva interrogativi sui limiti del sistema giudiziario nel garantire giustizia alle vittime quando l’accusato decide di sottrarsi alle conseguenze legali attraverso il suicidio. Per la giovane vittima e la sua famiglia rimane il dolore per una vicenda che non potrà mai trovare piena risoluzione né in ambito penale né civile.



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