La triste vicenda che ha colpito una famiglia di Trento continua a far discutere. Un padre, il cui figlio è rimasto in stato vegetativo dopo aver consumato formaggio a latte crudo contaminato da Escherichia coli otto anni fa, esprime la sua frustrazione per la recente sentenza della Corte di Cassazione. Questa ha confermato la condanna dell’ex presidente del Caseificio Sociale di Coredo e del casaro, che dovranno pagare una multa di 2.500 euro. Il commento amaro del padre del bambino, ora dodicenne, è emblematico della sua sofferenza: “Se rubo delle sigarette rischio di più: la vita di mio figlio vale meno di un pacchetto di sigarette”.
La condanna è il risultato di un processo iniziato nel 2017, anno in cui il bambino ha mangiato il formaggio contaminato. La sentenza di primo grado aveva stabilito una pena pecuniaria di 2.478 euro, che è stata successivamente integrata in appello con una provvisione da un milione di euro per la famiglia del piccolo, di cui 600.000 euro destinati al bambino e 200.000 euro a ciascun genitore.
Il padre ha dichiarato al Corriere del Trentino: “Nessuno ha mai chiesto scusa, ma ormai le scuse non le voglio più”. Da quel tragico 5 giugno 2017, il bambino è immobile in un letto, e il dolore della famiglia è palpabile. Il padre ha aggiunto: “Provo solo rabbia. Loro vanno ancora al parco con i loro bambini: io non posso”. Questa affermazione mette in luce il contrasto tra la vita quotidiana degli altri e la realtà della sua famiglia.
Inoltre, il padre ha rivelato di essere stato querelato per diffamazione e stalking, una situazione che ha ulteriormente aggravato il suo stato d’animo. Tuttavia, nonostante le avversità, l’uomo è determinato a continuare a lottare per ottenere giustizia. “La partita però, non è finita: quando sarà ora, intenteremo processo per omicidio colposo”, ha dichiarato, sottolineando la sua intenzione di perseguire legalmente chi è stato ritenuto responsabile della tragedia.
Da anni, il padre si batte per una legge che vieti il consumo di formaggi a latte crudo per i bambini sotto i dieci anni e per pene più severe per chi non rispetta i controlli di sicurezza alimentare. “Serve una etichettatura seria, divieto nelle mense pubbliche del formaggio a latte crudo e i condannati devono cambiare lavoro, non devono più avere a che fare con gli alimenti. Io ci rimetto la salute per rendere onore a mio figlio: lui combatte come un leone, non posso mollare io”, ha concluso il padre, esprimendo la sua determinazione a non arrendersi.
La questione della sicurezza alimentare è diventata centrale in questo caso, con il padre che chiede misure più rigorose per proteggere i bambini. La sua battaglia non è solo personale, ma rappresenta un appello a tutti affinché si prendano sul serio le normative riguardanti la produzione e la vendita di alimenti potenzialmente pericolosi.
La vicenda ha sollevato interrogativi anche tra i cittadini di Trento, molti dei quali si sono espressi a favore di una maggiore vigilanza e responsabilità da parte dei produttori di alimenti. La paura di un altro caso simile è palpabile, e il desiderio di una maggiore protezione per i più vulnerabili è forte.
Il dolore e la frustrazione del padre sono un richiamo alla responsabilità, non solo per chi produce alimenti, ma anche per le istituzioni che devono garantire la sicurezza dei consumatori. Le sue parole risuonano come un monito: la vita di un bambino non può essere messa a rischio per negligenza.
La storia di questo bambino e della sua famiglia è una testimonianza straziante di come un momento di distrazione possa avere conseguenze devastanti. La lotta del padre per giustizia e sicurezza alimentare continua, e la sua voce è diventata un simbolo per molti che chiedono un cambiamento reale e significativo nel settore alimentare.
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