Io e un paio di amici eravamo bloccati nel traffico. Accanto a noi, in un’auto vicina, c’erano un’anziana signora e sua figlia. La figlia abbassò il finestrino e disse:
«Mi sento stordita e mia madre non sa guidare. Potreste, per favore, salire in macchina e portarci all’ospedale?»
Per un attimo rimanemmo tutti in silenzio, confusi, con il suono incessante dei clacson nelle orecchie. Il sole del pomeriggio picchiava forte, rendendo la situazione ancora più urgente.
Il primo a parlare fu il mio amico Amir. «Vado io», disse, anche se aveva guidato pochissimo fuori dal nostro piccolo paese. Lo guardai scendere dall’auto e salire nella loro. Ci lanciò un sorriso teso, poi la macchina accanto a noi iniziò a muoversi lentamente tra gli spazi stretti fra i veicoli. Decidemmo di seguirli con la nostra auto.
Il cuore mi batteva forte. E se fosse successo qualcosa? E se Amir avesse fatto un errore? Dopo pochi isolati, vedemmo l’auto dell’anziana signora entrare all’ospedale. Parcheggiammo e corremmo dentro. Amir era nella sala d’attesa, mentre infermieri aiutavano la figlia, pallida e con il respiro affannoso. La madre era su una sedia a rotelle accanto a lei.
«Ha iniziato a svenire mentre guidavo», ci disse Amir. «Ho dovuto darle qualche colpetto sulla guancia per tenerla sveglia fino all’arrivo.» Le sue mani tremavano ancora.
Un’infermiera si avvicinò per ringraziarlo: «Probabilmente le hai salvato la vita.» La madre, con le lacrime agli occhi, gli strinse forte la mano. In quell’istante capii che aiutare gli altri non era solo una cosa da eroi addestrati: a volte bastava dire “sì” quando qualcuno ti chiedeva aiuto.
Restammo a lungo in ospedale con la signora Stancu, così si chiamava. Ci raccontò che sua figlia Mirela aveva avuto un improvviso giramento di testa e difficoltà a respirare. I medici confermarono che era un calo di pressione combinato con disidratazione, e che sarebbe rimasta sotto osservazione.
Quella sera tornammo a casa stanchi, ma più leggeri. Un semplice ingorgo stradale si era trasformato in un momento che ci aveva ricordato cosa significa essere umani.
Nei giorni successivi, il nostro gruppo cambiò. Iniziammo a preoccuparci di più l’uno dell’altro. Due settimane dopo, Mirela ci chiamò per invitarci a cena come ringraziamento. Passammo una serata meravigliosa, sentendoci quasi in famiglia.
Un mese dopo, Amir ricevette una lettera firmata da Mirela e sua madre: avevano avviato un progetto per insegnare il pronto soccorso agli anziani del loro condominio. Più avanti, grazie a quel gesto, Amir trovò lavoro in un’associazione che aiutava persone fragili.
Guardandolo muoversi sicuro nel nuovo lavoro, circondato da persone che sorridevano alla sua presenza, capii che tutto era iniziato da un singolo momento: una richiesta d’aiuto in mezzo al traffico.
Quell’episodio ci ha insegnato che dire “sì” al momento giusto può cambiare la vita — non solo di chi riceve aiuto, ma anche di chi lo offre.



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