Il tribunale di Roma ha emesso una sentenza di primo grado nei confronti del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, condannandolo a otto mesi di reclusione per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione al caso dell’anarchico Alfredo Cospito. I giudici hanno riconosciuto a Delmastro le attenuanti generiche e hanno disposto la sospensione della pena, senza menzione nel casellario giudiziario. Inoltre, è stata applicata l’interdizione dai pubblici uffici per un anno. Tuttavia, le richieste di risarcimento avanzate da quattro parlamentari del Partito Democratico sono state respinte.
Nonostante la condanna, Delmastro ha dichiarato di non avere intenzione di dimettersi. A margine della sentenza, ha affermato: “Spero ci sia un giudice a Berlino ma non mi dimetto”. La procura di Roma aveva richiesto l’assoluzione per il sottosegretario, sostenendo che, sebbene avesse rivelato informazioni riservate, mancasse l’elemento soggettivo necessario per configurare il reato. Secondo l’accusa, Delmastro non era a conoscenza del fatto che le informazioni in questione fossero segrete.
La difesa di Delmastro ha sempre sostenuto che non fosse a conoscenza della classificazione dei documenti che aveva condiviso con il deputato di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli. L’idea alla base della sua linea difensiva è che, in quanto parlamentare, Donzelli avesse diritto a visionare tali documenti. Per questo motivo, Delmastro non ha avvertito il deputato che le informazioni erano a “limitata divulgazione”, e Donzelli non è stato coinvolto nel processo se non come testimone.
Il procuratore aggiunto Paolo Ielo ha confermato la richiesta di assoluzione, affermando: “Abbiamo prodotto la richiesta di archiviazione” e “non ci spostiamo di un millimetro da qui”. La tesi dei pm si basa sul fatto che Delmastro non sapeva di rivelare un segreto d’ufficio, e quindi non avrebbe commesso alcun illecito.
Il caso che ha coinvolto Delmastro è emerso nel gennaio 2023, quando il sottosegretario contattò Giovanni Russo, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), per ottenere una relazione della Polizia penitenziaria riguardante Cospito, che stava scontando una pena in regime di 41-bis. In quel periodo, il dibattito su Cospito, il suo sciopero della fame e le sue condizioni di detenzione stava guadagnando attenzione mediatica.
La questione centrale è stata il trasferimento di documenti riservati, definiti “a limitata divulgazione”, da Delmastro a Donzelli. Questi ultimi contenevano conversazioni tra Cospito e altri detenuti in regime di 41-bis, informazioni che Donzelli ha citato in aula per criticare alcuni membri del Partito Democratico che avevano visitato l’anarchico in carcere. I parlamentari coinvolti si sono costituiti parte civile nel processo, tra cui Andrea Orlando, Silvio Lai, Debora Serracchiani e Walter Verini.
Dopo una richiesta iniziale di archiviazione da parte della procura, respinta dal gip, il caso è stato rinviato a giudizio. Oggi, il processo di primo grado ha raggiunto la sua conclusione, con la condanna di Delmastro e il rifiuto delle richieste di risarcimento.
La sentenza ha suscitato reazioni contrastanti nel panorama politico. Mentre i membri del Partito Democratico hanno accolto la decisione del tribunale come un passo verso la giustizia, Delmastro ha ribadito la sua posizione, affermando di non avere intenzione di lasciare il suo incarico. La sua resistenza ha sollevato interrogativi sulla responsabilità politica e sull’integrità dei membri del governo.
In un contesto più ampio, il caso evidenzia le tensioni all’interno della politica italiana riguardo alla trasparenza e alla gestione delle informazioni riservate. La questione della rivelazione di segreti d’ufficio è un tema delicato che tocca le fondamenta della fiducia pubblica nelle istituzioni e nei funzionari eletti.
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