Francesco Marchetto, ex comandante della stazione dei carabinieri di Garlasco, ha recentemente condiviso le sue riflessioni sul caso di Chiara Poggi durante un’intervista al programma “Storie Italiane” su Rai1, condotto da Eleonora Daniele. Marchetto ha espresso preoccupazioni riguardo alle indagini iniziali, definendole incomplete e caotiche. “Secondo me, le indagini non sono mai state condotte a 360 gradi. E ora bisogna capire se è stato per inesperienza o per volontà”, ha affermato.
Marchetto ha ricordato il suo primo ingresso nella casa di Chiara Poggi, descrivendo una scena di confusione: “Quando sono entrato nella casa di Chiara, la prima cosa che mi ha colpito – e non in positivo – è stato il numero di persone presenti. Un vero e proprio caos. Sembrava un mercato del sabato a Garlasco. Siamo partiti col piede sbagliato”.
Un altro aspetto cruciale delle sue dichiarazioni riguarda il capannone del padre di Alberto Stasi. Marchetto ha raccontato di essersi recato sul posto e di aver notato che il sistema d’allarme era stato disattivato. “Mi recai lì e, appena arrivato, notai che dovette disattivare un sistema d’allarme. Poi mi mostrò la bicicletta che non corrispondeva alle descrizioni della signora Bermani. Tornati in caserma, due giorni dopo, il magistrato firmò un decreto di perquisizione per Alberto, esteso a ogni luogo a lui riconducibile. Eppure nessuno perquisì quel capannone”, ha sottolineato Marchetto.
Inoltre, ha evidenziato le lacune nell’esame dell’impianto d’allarme, che fu verificato solo un mese e mezzo dopo, quando i dati erano ormai cancellati. “Il 25 agosto – aggiunge – la Bermani fece un’integrazione verbale, precisando nuovi dettagli sulla bicicletta. Ma nessuno tornò a verificarla”.
Riguardo a Alberto Stasi, che è stato condannato in via definitiva, Marchetto ha rivelato i suoi dubbi iniziali sulla colpevolezza dell’uomo: “All’inizio pensavo fosse lui il colpevole. Ma quando gli chiesi che volto avesse Chiara, mi rispose: ‘Pulito’. Eppure Chiara era una maschera di sangue. Mi colpì. Pensai che forse non si era nemmeno avvicinato al corpo. Me lo immagino entrare, vedere il sangue e scappare. Nella sua chiamata al 118 non dice che è morta, dice ‘potrebbe essere morta'”.
Un altro elemento importante delle sue dichiarazioni riguarda la testimonianza di Giuseppe Muschitta, il supertestimone che aveva parlato di una ragazza in bicicletta con il caschetto nei pressi della casa dei Poggi. “Fornì dettagli noti solo agli inquirenti, come un piccolo SUV nero parcheggiato sul lato sinistro. Lo stesso veicolo era stato segnalato da un commerciante locale. Ma nessuno chiese di perquisire, né seguì quella pista”, ha detto Marchetto.
Infine, Marchetto ha toccato il tema della morte del meccanico Ferri, sollevando dubbi sulla versione ufficiale dei fatti: “Sfido chiunque a dire che si sia suicidato in un anfratto di 50 cm tagliandosi polsi e collo, senza che si sia mai trovata l’arma. Un collegamento c’è. Serviva un’indagine a tutto campo, ma non è mai stata fatta”.
Marchetto ha concluso l’intervista esprimendo il desiderio che dopo 18 anni si possa finalmente individuare il vero colpevole: “Dopo 18 anni, spero si trovi finalmente il vero colpevole. Se dovesse emergere la responsabilità di qualcun altro, è inevitabile che questo scagionerebbe Stasi”. Ha anche rivelato le conseguenze personali delle sue posizioni: “La gente, quando mi incontra, mi dice: ‘Ma perché non si è indagato su quella famiglia?’, riferendosi a una persona coincidente con la descrizione del testimone. E da lì sono iniziati i miei problemi: sono stato estromesso dalle indagini, ho avuto crisi depressive. C’era chi cercava in ogni modo di farmi del male. E alla fine, ci è riuscito”.
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