La segretaria del PD, Elly Schlein, non ha ancora assunto una posizione chiara sul piano di pace proposto da Donald Trump, scelta che ha suscitato malumori tra i dirigenti del partito e aperto nuove tensioni nella coalizione di centrosinistra. A prendere la parola, invece, sono stati singoli esponenti come l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini e il senatore Alessandro Alfieri, che hanno espresso sostegno all’iniziativa diplomatica.
Il silenzio della leader democratica appare legato a un timore politico: risultare troppo moderata rispetto a Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, forze alleate ma su posizioni radicali riguardo a Israele e alla crisi in Medio Oriente.
La difficoltà di Schlein si è manifestata anche in relazione all’appello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Venerdì scorso, il capo dello Stato aveva invitato gli attivisti della Global Sumud Flotilla a consegnare a Cipro gli aiuti destinati a Gaza, in modo che fossero poi distribuiti dal Patriarcato latino di Gerusalemme, evitando così lo scontro diretto con le acque controllate da Israele.
L’intervento del presidente, frutto di un confronto con la Santa Sede e il governo, mirava a superare l’impasse creato dalla rivelazione pubblica di Giorgia Meloni sull’esistenza della trattativa. In questo modo Mattarella aveva reso politicamente più semplice per la Flotilla accettare la mediazione.
Nonostante ciò, Schlein ha mantenuto una posizione ambigua: ha ringraziato il presidente e la Chiesa per il loro ruolo, ma non ha mai chiesto esplicitamente agli attivisti – né tantomeno ai parlamentari del PD presenti sulle navi – di seguire l’appello del Quirinale.
Questa scelta ha sorpreso diversi dirigenti del partito, che ricordano come il PD sia stato per tradizione il “partito del presidente” e abbia votato due volte Mattarella come capo dello Stato. Molti interpretano il silenzio della segretaria come un segnale della difficoltà di tenere insieme anime molto diverse all’interno del partito, soprattutto mentre si avvicinano le regionali in Calabria (5-6 ottobre).
Le pressioni su Schlein arrivano anche dagli alleati. Subito dopo l’appello di Mattarella, Nicola Fratoianni (AVS) ha ribadito che «ogni scelta spetta alla Flotilla», mentre Giuseppe Conte ha garantito che «qualunque decisione prenderà, la Flotilla avrà sempre il sostegno del Movimento 5 Stelle».
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sfruttato la situazione per mettere in difficoltà l’opposizione, invocando un sostegno unanime al piano di Trump a nome dell’Italia, ma al tempo stesso criticando duramente la Flotilla, definita un possibile ostacolo al negoziato di pace.
Un passaggio cruciale sarà giovedì, quando il ministro degli Esteri Antonio Tajani terrà un’informativa in Parlamento. L’ipotesi di una risoluzione unitaria tra maggioranza e opposizioni appare remota. Il governo vorrebbe inserire un forte apprezzamento per Trump, elemento che metterebbe in difficoltà il centrosinistra. Al contrario, M5S e AVS hanno già escluso compromessi che non prevedano una netta condanna di Israele e un sostegno diretto alla Flotilla.
Per il PD, di nuovo, il rischio è quello di rimanere schiacciato tra due posizioni inconciliabili. Martedì il responsabile Esteri Peppe Provenzano ha spiegato che la segretaria non intende mostrarsi conciliatrice con Meloni, soprattutto in piena campagna elettorale, ma al tempo stesso non vuole forzare un’unità di facciata con M5S e AVS, considerate troppo distanti sulle questioni internazionali.
Un ulteriore fronte si è aperto con Carlo Calenda, che ha inviato a Schlein la bozza della risoluzione di Azione. Nel testo si definisce il piano di Trump «una svolta potenzialmente decisiva, anche se drammaticamente tardiva» e si chiede al governo italiano di impegnarsi a sostenerne l’attuazione, nel quadro del principio “due popoli – due Stati”. Schlein ha preso tempo, dichiarando di dover riflettere.
L’ipotesi più realistica, ad oggi, è che ciascun partito di opposizione presenti una propria risoluzione. Il PD potrebbe astenersi su quelle di M5S e AVS, mentre alcuni suoi parlamentari potrebbero votare contro. Sulla risoluzione della maggioranza, i democratici potrebbero adottare una linea ancora più sfuggente: non partecipare al voto, così da non apparire ostili ma neppure collaborativi con il governo.



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