Un’inchiesta condotta da Omer Shatz e Juan Branco, giuristi francesi, insieme all’ONG Front Lex e all’International Law in Action, ha presentato un report alla Corte penale internazionale (CPI) che coinvolge oltre 120 leader politici, inclusi diversi esponenti italiani. Il documento accusa alcuni di loro di “complicità” in crimini contro l’umanità nei confronti dei migranti sulla rotta del Mediterraneo centrale tra il 2013 e il 2019. Tra i nomi citati figurano tre ex presidenti del Consiglio italiano: Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e Giuseppe Conte, oltre a vari ministri, tra cui Angelino Alfano, Marco Minniti e l’attuale vicepremier Matteo Salvini, che ha ricoperto il ruolo di ministro dell’Interno nel governo Conte I.
Le accuse mosse nel report riguardano principalmente la sospensione della missione di salvataggio europea Mare Nostrum e l’implementazione di accordi con i governi dei paesi del Nord Africa. Tali azioni sono state considerate in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani. In particolare, il Memorandum Italia-Libia firmato da Gentiloni e Fayez al-Serraj nel 2017 è stato rinnovato da tutti i governi successivi, incluso quello attuale guidato da Giorgia Meloni, la quale ha recentemente confermato la volontà di mantenere l’intesa, definendola fondamentale per la “strategia nazionale di contrasto ai trafficanti di immigrati e di prevenzione delle partenze dalla Libia”.
Il report accusa l’Italia di essere stata un “attore chiave” nella definizione di quadri operativi e normativi che hanno supportato le “milizie libiche”. Si afferma che l’Italia ha garantito alla guardia costiera di Tripoli la possibilità di operare “senza interferenze”, riportando i migranti nei centri di detenzione libici con l’uso della forza. Queste operazioni avvengono in un contesto in cui i migranti fuggono da conflitti armati e cercano protezione, rendendo la situazione ancora più critica.
Nel report si evidenzia che il coinvolgimento di funzionari italiani nella creazione e attuazione di politiche finalizzate a contenere gli arrivi in Europa comporta responsabilità penale individuale per la commissione di crimini contro l’umanità. Tra questi, si menzionano omicidi, sparizioni forzate, torture, riduzione in schiavitù, stupri e altri atti disumani diretti contro i civili vulnerabili. Il documento si aggiunge a numerose testimonianze già presentate alla CPI, che ha aperto un dossier sui crimini commessi in Libia e ha aderito a una task force dedicata dal 2022.
Nel marzo 2023, una missione d’inchiesta delle Nazioni Unite in Libia ha confermato che nel paese sono stati perpetrati crimini contro l’umanità, richiedendo la sospensione di ogni forma di supporto agli attori libici coinvolti. Gli avvocati che hanno redatto il report sottolineano che le politiche attuate hanno mantenuto il numero delle partenze sostanzialmente invariato, mentre il tasso di mortalità tra i migranti è aumentato drammaticamente. La richiesta di indagare su eventuali crimini commessi dopo il 2019 è stata formulata in considerazione della situazione ancora in corso.
Il report ha suscitato un ampio dibattito riguardo alla responsabilità degli stati europei nella gestione delle politiche migratorie e alla protezione dei diritti umani. Mentre i leader politici italiani citati nel report non hanno ancora rilasciato commenti ufficiali, la questione della responsabilità per le azioni intraprese negli ultimi anni continua a essere al centro del dibattito pubblico.
L’inchiesta rappresenta un importante passo avanti nel monitoraggio delle azioni politiche relative alla migrazione e alla protezione dei diritti umani, evidenziando la necessità di un cambiamento nelle politiche europee. La CPI ha ora il compito di valutare le evidenze presentate e decidere se avviare ulteriori indagini sui crimini denunciati. La questione dei diritti dei migranti e delle responsabilità politiche rimane un tema cruciale, con ripercussioni che si estendono ben oltre i confini nazionali.



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