Paolo Bonacelli se n’è andato, così, quasi all’improvviso. Ottantotto anni, mica pochi, ma uno come lui sembrava eterno – di quelli che pensi “no, dai, Bonacelli c’è sempre stato, ci sarà sempre”. E invece niente, si è spento all’Ospedale San Filippo Neri di Roma. L’ha detto la moglie, c’era poco da fare.
Addio Paolo, davvero. Si è portato via sessant’anni e passa di storie, palcoscenici, set, personaggi. Era nato a Civita Castellana nel 1937 – una vita fa, praticamente un’altra epoca – e da allora non si è più fermato. Si era fatto le ossa alla Silvio D’Amico, mica l’ultima scuola di recitazione, ed era finito subito sotto l’ala di Vittorio Gassman. Cioè, roba da fuoriclasse. Insieme a Carlotta Barilli aveva messo in piedi la Compagnia del Porcospino e da lì, di scena in scena, Bonacelli era diventato una sicurezza: preciso, intenso, uno che quando c’era lui si sentiva.
Sul palco ha attraversato di tutto, da Sartre a Molière, passando per Shakespeare e Pinter. Sempre con quell’aria da professore matto e affascinante, uno che le battute non solo le dice, le scava pure.
Al cinema, vabbè, è stato ovunque. Pasolini, Antonioni, Rosi, Cavani, Troisi, Benigni – c’era sempre lui, a rubare la scena senza fare casino. Impossibile dimenticarsi il Duce de Blangis in “Salò”, o il detenuto Rifki in “Fuga di mezzanotte” – quello sì che gli ha dato la fama fuori dai confini. E poi il Leonardo da Vinci matto in “Non ci resta che piangere”, e soprattutto l’avvocato D’Agata in “Johnny Stecchino”. Quella scena delle “tre piaghe di Palermo” è ormai storia: la mafia, il traffico, il diabete – e tutti giù a ridere. E dici poco, per quella parte si è portato a casa pure il Ciak d’Oro e il Nastro d’Argento. Non che gli mancassero i premi, eh – nel 2008 la gente gliel’ha pure riconosciuto col Premio Gassman alla carriera.
Eppure, si è spento l’8 ottobre 2025, sempre a Roma. La causa? Boh. Non si capisce se fosse una malattia, un malore, o cos’altro. La solita nebbia che avvolge queste storie. Qualcuno, appena si è sparsa la voce, ha subito tirato fuori la solita questione dei malori improvvisi, delle morti fulminanti, e quel chiacchiericcio sui vaccini Covid che ormai spunta ovunque – ma insomma, di certezze zero.
Negli ultimi anni Bonacelli era rimasto in pista, in qualche modo. Il suo ultimo giro sul grande schermo è stato con “In the Hand of Dante” di Julian Schnabel, passato fuori concorso a Venezia nel 2025. Anche lì, una presenza che non tradiva mai: ironico, profondo, inquieto e vero. Con lui se ne va un pezzo di cinema e teatro italiano che sapeva mischiare la risata amara e il dramma, la leggerezza e la profondità. E adesso, chi lo sostituisce uno così? Semplicemente, non si può.



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