La controversia riguardante la famiglia che vive in una casa nel bosco di Palmoli sta generando un acceso dibattito pubblico, sollevando interrogativi sulla libertà educativa, i diritti dei minori e l’intervento della magistratura. Da un lato, ci sono sostenitori di Nathan e Catherine, i genitori che hanno scelto di crescere i loro tre figli in un ambiente naturale e autonomo, lontano dalla vita cittadina. Dall’altro, ci sono coloro che difendono la decisione del tribunale dei minori dell’Aquila, ritenendo che le condizioni in cui vivono i bambini non garantiscano la loro sicurezza.
La discussione ha preso piede anche sui social media, dove gli attacchi nei confronti della giudice Cecilia Angrisano si sono intensificati, costringendo l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) a intervenire in sua difesa. Lunedì scorso, si attendeva una novità significativa: la relazione della Procura generale al ministro della Giustizia Carlo Nordio, che potrebbe portare a un’ispezione sul caso. Nel frattempo, il vicepremier Matteo Salvini ha dichiarato: “Farò di tutto per riconsegnare quei bambini alla loro famiglia”, accendendo ulteriormente le polemiche politiche già accese. La questione ha così assunto una dimensione complessa, intrecciando temi di giustizia, genitorialità e libertà individuale.
Due punti chiave emergono dall’ordinanza del tribunale. Il primo riguarda la condizione dell’abitazione della famiglia, descritta come una casa in pietra immersa nella natura, ma priva di infissi e servizi igienici adeguati. L’ordinanza evidenzia che “non sono verificate le condizioni di salubrità dell’abitazione”, con rischi di umidità e possibili “patologie polmonari”. I genitori hanno affermato di aver già avviato lavori per installare un locale aggiuntivo con bagno, ma per i giudici questa situazione precaria rimane un elemento critico.
Il secondo punto riguarda il metodo educativo. Sebbene la figlia maggiore abbia ottenuto un certificato di idoneità scolastica, i giudici hanno contestato la mancanza della dichiarazione annuale di istruzione parentale, obbligatoria secondo la legge. Tuttavia, il punto più delicato del provvedimento riguarda la vita sociale dei bambini. I giudici hanno sottolineato l’esistenza di “un pericolo di lesione del diritto alla vita di relazione”, sostenendo che la presunta “deprivazione” potrebbe compromettere l’autostima dei piccoli e ostacolare la loro capacità di interagire con i coetanei. I sostenitori della famiglia considerano questa interpretazione eccessiva, mentre la magistratura la vede come una necessaria tutela per prevenire conseguenze “gravi” sullo sviluppo psicologico dei minori.
La tensione si è inoltre spostata online, dove alcuni utenti hanno superato i limiti della critica, lanciando insulti e offese contro la giudice Angrisano, definendo il tribunale “una fossa piena di vermi”. Un linguaggio che alimenta l’odio e rischia di offuscare l’elemento centrale della vicenda: il benessere dei bambini.
Durante un incontro con l’avvocato Giovanni Angelucci, i bambini hanno pronunciato una frase particolarmente toccante: “Quando torniamo”. I tre piccoli, attualmente ospitati in una casa famiglia, hanno espresso con semplicità il desiderio di tornare alla loro vita quotidiana. Queste parole colpiscono profondamente e pongono interrogativi su a chi sia realmente rivolta questa domanda: ai giudici, ai genitori o alla società nel suo complesso? La loro voce rappresenta un appello alla necessità di fornire risposte concrete, lontane dal frastuono mediatico.
Nel corso dello stesso incontro, la madre è scoppiata in lacrime, mentre l’avvocato Angelucci ha ribadito gli obiettivi immediati della difesa: “Il primo obiettivo è quello di far riunire la famiglia, il secondo è quello di riportarli a casa”. Questi due passaggi, sebbene distinti e con tempistiche diverse, rappresentano la speranza di un ricongiungimento. L’avvocato sta preparando un ricorso, con scadenza fissata al 29 novembre, e si augura una soluzione “a stretto giro”. Gli amici della famiglia, nel frattempo, invitano alla calma, affermando: “Credo che solo quando tacerà la grancassa mediatica si risolverà la questione”.
Dal fronte opposto, il segretario dell’ANM, Rocco Maruotti, ha commentato che i provvedimenti di sospensione della potestà genitoriale non sono eccezionali e vengono adottati solo quando i diritti dei minori sono realmente in pericolo. “La strumentalizzazione che nelle ultime ore è stata fatta anche da chi ricopre ruoli di responsabilità – ha aggiunto – si spiega con la delegittimazione della magistratura”. Queste parole riportano la discussione su un piano istituzionale, mentre sullo sfondo rimangono i tre bambini e la loro semplice ma potente domanda: “Quando torniamo”. Un’eco che richiede risposte autentiche, lontane dai clamori politici e dai giudizi affrettati.



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