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Il corpo di Yara Gambirasio fu ritrovato tre mesi dopo la scomparsa in un campo a Chignolo d’Isola. Un criminologo spiega i motivi del ritardo



Era il 26 febbraio 2011 quando il corpo senza vita di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa il 26 novembre 2010, venne ritrovato in un campo a Chignolo d’Isola, in provincia di Bergamo. La scoperta avvenne casualmente grazie a un uomo appassionato di aeromodellismo. Dario Redaelli, ex poliziotto e criminologo, ha raccontato a Fanpage.it le difficoltà incontrate nelle ricerche che portarono al ritrovamento solo dopo tre mesi.



La vicenda di Yara Gambirasio aveva scosso l’Italia intera. La ragazza, residente a Brembate di Sopra, era scomparsa dopo essere uscita dalla palestra che frequentava abitualmente. Le ricerche iniziarono immediatamente, coinvolgendo forze dell’ordine, volontari e strumenti tecnologici, ma il corpo fu rinvenuto solo mesi dopo in un campo abbandonato.

Secondo quanto spiegato da Dario Redaelli, la vegetazione del luogo era particolarmente fitta e spinosa, rendendo difficile individuare il cadavere. “La vegetazione era fitta, il corpo era quasi non visibile”, ha dichiarato. Il criminologo ha aggiunto che l’area era stata perlustrata palmo a palmo e che erano stati utilizzati anche metal detector, ma la densità della vegetazione aveva complicato notevolmente le operazioni.

Il ritrovamento avvenne per puro caso. Un uomo, mentre giocava con il suo aeromodello, perse il controllo del dispositivo, che cadde proprio nella zona dove si trovava il corpo della giovane. Avvicinandosi per recuperarlo, si accorse della presenza del cadavere e allertò immediatamente le autorità.

Sul luogo del ritrovamento, Redaelli fu il primo a intervenire per organizzare le attività di sopralluogo. “Ricordo che fui il primo ad arrivare nel punto in cui giaceva la salma”, ha detto. Ha descritto come la vegetazione fosse talmente fitta da strappare la tuta bianca indossata per proteggersi durante le operazioni: “Nel momento in cui arrivai nel punto in cui c’era Yara, la mia tuta era già completamente strappata”. Questo dettaglio evidenzia ulteriormente quanto fosse complesso individuare il corpo in quelle condizioni.

Durante le indagini furono trovati alcuni oggetti personali appartenenti a Yara. Nelle sue tasche c’erano gli auricolari e la batteria del cellulare, mentre il telefono era stato rimosso. Inoltre, indossava un paio di guanti appena regalati dalla madre. Altri oggetti rinvenuti sul posto includevano una roncola arrugginita e semi sotterrata, che però fu esclusa come possibile arma del delitto.

Le indagini portarono all’arresto di Massimo Bossetti il 16 giugno 2014. L’uomo fu successivamente condannato all’ergastolo per l’omicidio della giovane. Tuttavia, Bossetti ha continuato a dichiararsi innocente anche durante tutto il processo e, più recentemente, durante un’intervista televisiva.

Nonostante la condanna, alcuni aspetti del caso continuano a sollevare interrogativi. Tra questi, le analisi sul DNA che hanno rappresentato uno degli elementi chiave nel processo contro Bossetti. Tuttavia, secondo gli esperti, tali analisi non possono essere ripetute, una questione che ha alimentato ulteriori polemiche e richieste da parte della difesa dell’imputato.



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