Come preannunciato nei giorni precedenti, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è presentata al suo seggio elettorale a Roma in occasione dei referendum su cittadinanza e lavoro dell’8 e 9 giugno 2025. Tuttavia, la premier ha deciso di non ritirare le schede, un gesto che equivale a non partecipare al voto. Di conseguenza, il suo nome non sarà incluso nel calcolo dell’affluenza, e il suo gesto non contribuirà al raggiungimento del quorum necessario per rendere validi i referendum.
La decisione di Meloni era stata annunciata in anticipo, in risposta alle pressioni ricevute dalle opposizioni. Dopo aver consegnato i documenti al seggio, ha rifiutato di ricevere le schede necessarie per esprimere il proprio voto. Questa scelta, secondo le normative vigenti del Ministero dell’Interno, comporta che la sua presenza al seggio venga annullata nei registri elettorali. Infatti, in caso di rifiuto delle schede, il regolamento prevede che non si registri l’elettore come partecipante al voto.
Dal punto di vista legale e pratico, non c’è differenza tra chi si presenta al seggio e non ritira le schede e chi decide di non andare a votare. Se Meloni avesse votato No su tutte le schede o avesse espresso un voto nullo, sarebbe stata comunque conteggiata tra gli elettori. Non ritirando le schede, invece, il suo nome non risulta nei dati sull’affluenza. Questo dettaglio è cruciale per il calcolo del quorum: la sua scelta di non ritirare le schede ha lo stesso effetto di un’assenza totale.
La decisione della presidente del Consiglio ha suscitato reazioni contrastanti. I promotori del referendum hanno espresso disappunto per quella che considerano una mossa di boicottaggio. La strategia di Meloni, tuttavia, è stata coerente con la linea politica adottata dalla sua coalizione di governo. Infatti, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega avevano invitato i cittadini a non partecipare al voto, mentre il partito Noi Moderati, parte della stessa coalizione, aveva suggerito di votare No su tutti i quesiti.
Al momento, i dati sull’affluenza sembrano confermare le previsioni dei sondaggi pre-elettorali: è improbabile che si raggiunga il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto. Alle ore 12 dell’8 giugno, l’affluenza a livello nazionale era ferma al 7,4%, mentre alle ore 19 era salita solo al 16%. Questo trend rende difficile immaginare che si possa raggiungere la soglia necessaria per rendere validi i cinque quesiti referendari.
La scelta di Meloni si inserisce in un contesto politico delicato. I referendum riguardano temi sensibili come cittadinanza e lavoro e hanno generato un acceso dibattito pubblico. Tuttavia, l’atteggiamento della presidente del Consiglio riflette una strategia politica ben definita: evitare di contribuire al raggiungimento del quorum per non consolidare l’efficacia delle consultazioni referendarie.
In base alle normative italiane, il quorum è determinante per la validità di un referendum abrogativo. Se meno del 50% degli elettori aventi diritto si reca alle urne, il referendum viene considerato nullo. La scelta di Meloni e della sua coalizione di governo di scoraggiare la partecipazione al voto sembra quindi mirata a rendere inefficaci i quesiti referendari.
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