Negli ultimi giorni, la questione delle proteste degli studenti durante l’esame di maturità ha attirato l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Alcuni giovani hanno deciso di non sostenere l’esame orale, adottando la “scena muta” come forma di protesta contro un sistema educativo che percepiscono come oppressivo. Questa scelta ha scatenato reazioni diverse, con alcuni che chiedono di ascoltare le loro richieste e altri che li criticano aspramente.
Gli studenti coinvolti nelle proteste esprimono il loro malcontento con frasi come: “Siamo ridotti ai nostri voti”, evidenziando come la valutazione scolastica possa diventare un fattore di pressione e controllo. Questa posizione non è nuova e si inserisce in una tradizione di pedagogia critica che mette in discussione la validità delle pratiche di classificazione e valutazione. Secondo questa visione, educare non equivale a disciplinare o a ordinare gli individui su una scala di merito; piuttosto, l’educazione dovrebbe mirare a far emergere le potenzialità degli studenti.
Il termine “educare” deriva dal latino educere, che significa “tirar fuori”. Questo concetto implica un approccio all’istruzione che valorizza lo sviluppo delle capacità individuali, piuttosto che la semplice misurazione del rendimento attraverso voti e punteggi. Le recenti manifestazioni di dissenso da parte degli studenti rappresentano, quindi, un’opportunità per avviare un dialogo costruttivo su come migliorare il sistema scolastico attuale, che molti ritengono inadeguato.
Tuttavia, invece di promuovere una discussione aperta, il ministro Valditara ha risposto alle proteste con minacce di punizioni, scegliendo un linguaggio di repressione. Questa reazione ha suscitato ulteriori polemiche, poiché sembra riflettere un approccio governativo che non favorisce il dialogo, ma piuttosto la punizione. La posizione di Valditara è stata criticata da diversi osservatori, che sostengono che un ripensamento della scuola, compresi i metodi di insegnamento e valutazione, sia fondamentale per affrontare le sfide del presente.
La scuola attuale, secondo alcuni critici, promuove un modello competitivo che serve più a preparare gli studenti al capitalismo che a fornire loro gli strumenti necessari per una crescita personale e intellettuale. Contestare questo modello, come stanno facendo gli studenti, è visto come un segno di vitalità intellettuale e politica. Le proteste, quindi, non dovrebbero essere viste come un atto di ribellione fine a se stesso, ma come un appello a riconsiderare il ruolo della scuola nella formazione delle nuove generazioni.
Dall’altra parte, figure come Nicola Porro e Giuseppe Cruciani esprimono una visione critica nei confronti degli studenti che scelgono di non sostenere l’esame orale. Durante la trasmissione “Una Zanzara nella Zuppa”, Porro ha descritto questi ragazzi come “irrecuperabili” e “viziati di merd*”, sostenendo che tale atteggiamento non li preparerà per le sfide future, come gli esami universitari o i colloqui di lavoro. Secondo lui, questi studenti, nel cercare “empatia” dai loro insegnanti, mostrano una mancanza di comprensione delle reali aspettative del mondo del lavoro.
La contrapposizione tra le due posizioni mette in evidenza un dibattito più ampio sulla funzione della scuola e sul modo in cui gli studenti interagiscono con essa. Mentre alcuni chiedono un ascolto attivo e un cambiamento del sistema educativo, altri temono che tali richieste possano portare a una perdita di rigore e disciplina. Questo scontro di idee è emblematico di una società che sta cercando di trovare un equilibrio tra l’innovazione educativa e il rispetto delle tradizioni.
In conclusione, le proteste degli studenti durante la maturità sollevano interrogativi importanti sul futuro dell’istruzione in Italia. È essenziale che le istituzioni e i responsabili politici prendano in considerazione le voci dei giovani, avviando un dialogo che possa portare a un miglioramento del sistema educativo, piuttosto che a una mera repressione delle loro espressioni di dissenso. La vera sfida sarà quella di trasformare queste manifestazioni in un’opportunità per ripensare e riformare la scuola in modo che possa realmente rispondere alle esigenze delle nuove generazioni.



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