La confessione di Marco Ferdico, noto capo ultrà interista, ha svelato dettagli inquietanti sull’omicidio di Vittorio Boiocchi, avvenuto il 29 ottobre 2022 e rimasto irrisolto fino ad ora. Ferdico, già condannato a otto anni nel maxi blitz dell’inchiesta Doppia Curva, ha rivelato che Andrea Beretta, allora numero due della Curva, ha orchestrato il delitto, assumendo il ruolo di mandante. Insieme a loro, sono coinvolti il padre di Ferdico, Gianfranco, il suocero Pietro Andrea Simoncini, alla guida dello scooter, e il tifoso Daniel “Bellebuono” D’Alessandro, che ha materialmente eseguito l’omicidio sparando a Boiocchi.
Durante la sua confessione, Ferdico ha raccontato: “Mio padre mi diceva che non dovevo fare questo omicidio perché l’avrei pagata”. Questo avveniva anni dopo l’omicidio, quando Ferdico, ora 39enne e portavoce della Curva Nord interista, si era avvicinato a Antonio Bellocco. Secondo i verbali recentemente emersi, Beretta era il primo a rendere la sua confessione, affermando che voleva uccidere Boiocchi a causa di un litigio che li aveva spaventati.
L’incontro tra Ferdico e Beretta avvenne la sera prima della commemorazione dell’ultrà laziale Fabrizio “Diabolik” Piscitelli. In quella occasione, Ferdico accettò di partecipare al piano omicida, pur specificando di non volerlo eseguire personalmente: “Ero comunque affascinato dalla possibilità di prendere il comando della Curva”.
Secondo Ferdico, fu Beretta a fornire la moto e la pistola per l’agguato in via Fratelli Zanzottera. “L’abbiamo provata sparando vicino al Carrefour. All’inizio non sapevo ancora chi poteva eseguire l’omicidio. Beretta mi dice che paga 50mila euro”, ha spiegato, aggiungendo che il denaro fu consegnato a lui direttamente da Mauro Nepi, storico corista, il quale menzionò anche che Beretta aveva due persone dell’Est pronte a intervenire. Tuttavia, Ferdico decise di coinvolgere il suocero Simoncini e D’Alessandro, entrambi accettando di compiere l’omicidio per un compenso di 25mila euro ciascuno.
Il piano prevedeva indicazioni precise sul percorso da seguire, evitando telecamere e aree sorvegliate. Ferdico e il padre si occuparono di effettuare sopralluoghi e di fornire ai killer “le basi logistiche, i mezzi di trasporto”, incluso un furgone per caricare lo scooter, intestato a Cristian Ferrario, dipendente del negozio di merchandising di Beretta, “We Are Milano”, e successivamente riverniciato. Si occuparono anche di procurare cellulari criptati olandesi per le comunicazioni. Dopo l’omicidio, i due si sbarazzarono dei vestiti e dei telefoni utilizzati, gettandoli “nei tombini in zona via Padova”, mentre la pistola fu “lanciata in un laghetto artificiale a Trezzano sul Naviglio, nei pressi di cascina Gaggia”.
Nonostante il piano ben congegnato, il delitto rimase irrisolto per tre anni. L’omicidio di Antonio Bellocco e l’inchiesta della DDA di Milano hanno portato alla luce le “modalità mafiose” che regolavano i rapporti all’interno della Curva nerazzurra di San Siro.
La confessione di Ferdico ha aperto nuovi scenari sull’indagine, rivelando le dinamiche interne di un ambiente spesso caratterizzato da rivalità e violenza. L’omicidio di Boiocchi rappresenta un capitolo oscuro nella storia del tifo organizzato, e ora le autorità stanno approfondendo ulteriormente le relazioni tra i vari membri della Curva per comprendere meglio le motivazioni e le connessioni che hanno portato a questo tragico epilogo.
Con la confessione di Ferdico e il coinvolgimento di figure chiave come Beretta, il caso ha riacquistato nuova vita, sollevando interrogativi sulla sicurezza e sulla gestione delle dinamiche di potere all’interno degli ambienti ultras. La comunità sportiva e le autorità locali stanno ora affrontando la sfida di ripristinare la sicurezza e la legalità in un contesto in cui la violenza e le vendette personali sembrano aver preso il sopravvento.



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