Il musicista USA Steve Cropper, che suonava la chitarra e scriveva canzoni, ha creato il Memphis Sound ed è stato protagonista della soul con la sua Telecaster unica al mondo; è deceduto mercoledì 3 dicembre a Nashville, in Tennessee, all’età di 84 anni. A dare l’annuncio sono stati i parenti, secondo quanto riferito da alcune testate americane.
Cropper divenne famoso grazie a pezzi tipo “Soul Man”, oppure “Green Onions”, senza contare “(Sittin’ on) the Dock of the Bay”. Anche se partì coi Booker T. & the M.G.’s, suonò roba che oggi resta nei libri di musica; più tardi finì tra i Blues Brothers, quel gruppo creato da John Belushi con Dan Aykroyd verso fine anni Settanta, presente in concerti, album e pure nei film cult come “The Blues Brothers” del 1980 o il seguito nel ‘98. Gli amici lo chiamavano “The Colonel”: un nomignolo spuntato in giro per studi, dopo ripreso dal duo comico. Vinse due premi Grammy: uno per “(Sittin’ On) The Dock of the Bay”, scritto assieme a Otis Redding, l’altro col nome dei suoi compagni di band, perché uscì “Cruisin”.
Nato il 21 ottobre 1941 vicino a Dora, in Missouri, Cropper si trasferì a Memphis col resto della famiglia nel ’50. Lì cominciò ad ascoltare gospel, R&B e i primi brani di rock’n’roll. A soli dieci anni prese in mano una chitarra per la prima volta. I suoi modelli? Lowman Pauling dei Five Royales, insieme a Chuck Berry, Chet Atkins e Jimmy Reed. Questi nomi segnarono profondamente il suo stile fin dall’inizio. Ne venne fuori un modo di suonare preciso, diretto, pieno di ritmo. Un mix raro che rimase costante lungo tutta la sua vita musicale.
Verso la fine dei cinquanta cominciò a farsi largo coi Royal Spades, un gruppo che poco dopo divenne The Mar-Keys. Nel ’61 arrivò terzo nella classifica Billboard Hot 100 col brano strumentale “Last Night”, inciso alla Satellite Records, destinata a diventare Stax. Cropper, mentre studiava ingegneria meccanica a Memphis, già collaborava lì dentro come aiuto e addetto alle consegne, salendo presto di grado fino a occuparsi delle registrazioni.
L’anno appresso, precisamente nel ’62, si formò quel combo che avrebbe cambiato il volto della musica soul: Booker T. & the M.G’s; lui in chitarra, Booker T. Jones all’organo, Lewie Steinberg al basso – più tardi sostituito da Donald ‘Duck’ Dunn – e Al Jackson Jr. sui tamburi. Per puro caso, il gruppo registrò una jam destinata a diventare “Green Onions”, un pezzo iconico salito al vertice delle classifiche R&B e arrivato terzo nella Hot 100. Dopo quel momento, gli M.G.’s si trasformarono nei musicisti fissi della Stax Records, segnando per sempre la scena con uno dei battiti più copiati del suono USA.
Nel ’56 prese una Telecaster, poco dopo passò a una Fender che da allora non lasciò mai, creando un modo tutto suo di suonare: giri secchi, ritmi incalzanti, linee sempre al punto giusto. Addirittura nel ’96, “Mojo” scrisse che era “il chitarrista vivo più forte in circolazione”.
Musicista molto richiesto, non solo scriveva pezzi ma anche li produceva e suonava in studio. Con Otis Redding ha firmato brani come “(Sittin’ on) the Dock of the Bay” oppure “Respect”. Ha lavorato pure con Sam & Dave, Carla, Rufus Thomas, Wilson Pickett – dove nacque “In the Midnight Hour” – e insieme a Eddie Floyd creò “Knock on Wood”. Spesso era lui a condurre le session, scegliere toni, proporre cambi nei ritmi. Sempre presente, senza fare rumore, attento al gruppo più che ai singoli.
Dopo il suo addio alla Stax Records nel ’70, mentre l’etichetta affrontava tempi duri, Cropper creò la TMI Records assieme a Jerry Williams e Ronnie Stoots; da lì partì una carriera nella produzione che lo coinvolse con gente tipo José Feliciano, Yvonne Elliman, Leon Russell, Neil Sedaka, Rod Stewart e Harry Nilsson. Collaborò pure con Ringo Starr, suonò con John Lennon in “Rock ‘n’ Roll”, fece musica con Jeff Beck e si mischiò ai Tower of Power.
Fu nella Blues Brothers Band
La gente lo ha conosciuto nel ’78, quando Belushi e Aykroyd gli hanno chiesto di entrare nei Blues Brothers: da lì è partita una svolta. Concerti pieni ovunque, dischi in uscita, quel film epico firmato Landis tre anni dopo. A presentarlo sul palco c’era sempre quella frase storica: “Suonalo, Steve!” – impossibile dimenticarla.



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