Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, ha ribadito la sua innocenza durante un’intervista rilasciata a Francesca Fagnani nel programma “Belve Crime”, trasmesso su Rai 2. L’ex muratore di Mapello, detenuto nel carcere di Bollate, ha affermato: “Ignoto 1 non posso essere io e potrò constatarlo solo quando potrò fare le analisi a dovere”. Tuttavia, le verifiche genetiche richieste non possono essere ripetute, secondo quanto stabilito dal Codice di Procedura Penale.
La vicenda risale al 26 novembre 2010, quando la giovane Yara Gambirasio, 13 anni, scomparve da Brembate di Sopra. Il suo corpo fu rinvenuto tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un campo a Chignolo d’Isola. Dopo anni di indagini e processi, nel 2018 la Corte di Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo per Massimo Bossetti, identificato come “Ignoto 1” grazie all’analisi del DNA.
Nel corso dell’intervista, Bossetti ha ribadito la sua posizione: “Non c’è verità possibile se non viene ascoltata. I giudici possono definirmi come gli pare, ma io non ritengo di essere un assassino. Sono una persona normale senza grilli per la testa”. La difesa dell’ex muratore ha più volte sollevato dubbi sulle modalità con cui sono state condotte le analisi genetiche durante le indagini. Secondo gli avvocati, i campioni di DNA furono esaminati senza garantire adeguatamente il diritto alla difesa, poiché i consulenti della parte imputata hanno avuto accesso solo ai documenti cartacei relativi agli accertamenti.
Francesca Fagnani ha ricordato durante l’intervista che il DNA nucleare di Bossetti, considerato legalmente valido, è stato rinvenuto in quantità significativa su più punti degli indumenti della vittima, in particolare sugli slip e sui leggings. A questa osservazione, Bossetti ha replicato: “Vorrei sapere anche io come ci è finito sugli slip di Yara”.
Nonostante le richieste dell’imputato e della sua difesa, le analisi genetiche non possono essere ripetute. Una fonte ha spiegato a Fanpage.it che gli accertamenti genetici sono classificati come irripetibili dalla legge italiana. L’articolo 360 del Codice di Procedura Penale disciplina questo tipo di indagini, specificando che alcune verifiche non possono essere replicate perché il reperto potrebbe deteriorarsi o le tracce potrebbero essere troppo limitate per consentire ulteriori analisi. “La non ripetibilità non implica una minore affidabilità degli accertamenti. È fondamentale che l’analisi venga condotta correttamente fin dal principio”, ha precisato la fonte.
Nel caso specifico di Bossetti, l’irripetibilità delle analisi sarebbe mitigata dal fatto che il DNA dell’imputato è stato rilevato in più punti sugli indumenti della vittima. Questo dettaglio rafforzerebbe la validità delle prove raccolte dagli inquirenti. Tuttavia, la difesa continua a contestare la gestione delle analisi e chiede maggiore trasparenza.
La condanna di Massimo Bossetti si basa principalmente sulle prove genetiche raccolte durante le indagini. Identificato come “Ignoto 1”, il suo profilo genetico è stato confrontato con migliaia di campioni prelevati nella zona in cui viveva e lavorava. Dopo numerosi confronti, gli investigatori hanno individuato una corrispondenza tra il DNA nucleare presente sugli indumenti di Yara Gambirasio e quello di Bossetti, portando alla sua incriminazione.
Nonostante la sentenza definitiva e l’esito dei tre gradi di giudizio, Bossetti continua a dichiararsi innocente e a chiedere nuove verifiche sul DNA. “Si dovevano percorrere strade diverse”, ha affermato durante l’intervista. Tuttavia, la legge italiana considera le analisi condotte irripetibili e non prevede ulteriori accertamenti su reperti già esaminati.
Il caso di Yara Gambirasio rimane uno dei più discussi nella cronaca italiana degli ultimi anni. La giovane ginnasta fu ritrovata senza vita in un campo isolato dopo mesi di ricerche. L’indagine si concentrò inizialmente sull’identificazione del misterioso “Ignoto 1”, il cui profilo genetico era stato isolato dagli indumenti della vittima. Dopo anni di lavoro investigativo e scientifico, gli inquirenti attribuirono quel profilo a Massimo Bossetti, portando al processo e alla successiva condanna.
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